25 febbraio 1980: i funerali di Valerio Verbano

Lunedì 25 febbraio, giorno in cui Valerio avrebbe compiuto 19 anni, si svolgono invece i suoi funerali.

Questi si tengono presso il cimitero monumentale del Verano a San Lorenzo. La polizia vieta qualsiasi manifestazione. Ai funerali però partecipano migliaia di persone, secondo alcune stime, circa diecimila.

Migliaia e migliaia di compagni e compagne occupano l’intera piazza. Questo fatto viene preso a pretesto dalla polizia per caricare duramente i partecipanti e le partecipanti al funerale. Gli scontri sono durissimi: la polizia carica sia nella piazza antistante il cimitero che nelle strade limitrofe, e spara anche, appostandosi dietro le finestre del vicino commissariato di via Tiburtina.

Vedendo in quella folla che andava a dare l’ultimo saluto a Valerio, niente altro che una ‘manifestazione non autorizzata’, la polizia ha mostrato ancora una volta il suo volto impietoso.

Il giornale “Lotta Continua” del 27 febbraio dedica largo spazio all’aggressione poliziesca durante i funerali di Valerio. In un lungo articolo ci racconta di cariche indiscriminate, di fumogeni fin dentro il cimitero, di ben cinquantasette fermi e tre arresti, e dell’intero quartiere di San Lorenzo assediato fino a tarda sera.

“Valerio Verbano, giovane compagno: anche i suoi funerali hanno visto la vigliacca vendetta dello Stato. Quando anche un funerale diventa un’occasione di vendetta per la polizia.

Già dalle 14.30 gruppi di compagni si recano alla spicciolata davanti all’entrata dell’obitorio, in piazzale del Verano. Uno striscione sul cancello: ‘Valerio è vivo’, mazzi di garofani rossi raccolti nelle vicinanze. Due ali mute di giovani attendono in fila di dare l’ultimo saluto.

‘Stai buono…’

Si fischia l’Internazionale, la bara passa tra due ali di pugni alzati, di fiori che volano, di bandiere rosse. Un urlo da dietro: ‘Stracciamogli pure a loro le famiglie!’. E’ un grido che nessuno raccoglie, il padre di Valerio si gira e rivolto verso il punto da dove è giunta la voce dice: ‘Stai buono!’. Non è stizzito, arrabbiato, il padre di Valerio invita alla calma, è un invito paternalistico. Si arriva sempre con il senso d’oppressione davanti all’entrata del Verano: la bara, portata a spalla dai compagni del quartiere viene posta dentro il furgone, i genitori prendono posto in una macchina subito dietro. Molti compagni entrano dentro il cimitero, corrono dietro al furgone, mentre gli amici di Valerio invitano la gente ad andare via: ‘Fino qui – dicono – fino qui compagni! Ora il padre e la madre vogliono stare da soli’.

Si esce fuori, molti iniziano ad andarsene, altri si fermano a parlare in capannelli. Poi improvviso, parte lo slogan: ‘Valerio è vivo e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai!’, si forma la testa di un improvvisato corteo. Ci si dirige verso San Lorenzo, non si fanno neanche 50 metri che arrivano due blindati. I compagni alle prime file alzano le braccia gridano: ‘Fermi! Fermi!’. In risposta partono a raffica le prime salve di candelotti.

Asserragliati dentro il cimitero, tra il fumo dei lacrimogeni

‘Germania in autunno’: forse qualcuno l’avrà visto quel film. E ricorda le facce coperte ed i pugni chiusi mentre Baader, Raspe e la Esslin se ne vanno già nelle rispettive bare. E ricorda la polizia con i cavalli ad assediare i funerali di tre ‘morti di nessuno’ salutati da centinaia di giovani oramai senza nome. I fazzoletti sul volto fino agli occhi, gli occhi lucidi e le lacrime traditrici che si scorgono lo stesso. Le parole. Le parole che non escono per il magone e all’improvviso diventano grida e forse, prima ancora alludono a quel proprio essere ormai senza nome che giunge ad una ricerca di autoaffermazione. Chiusi, accerchiati, costretti. Con gli occhi che fissano la bara che se ne va. Senza non poter vedere blindati e cellulari e le spalle voltate a quel nugolo bianco di tombe recintate. Quando la bara di Valerio è appena scomparsa dallo sguardo, le parole sono subito diventate slogan. ‘Valerio è vivo e lotta insieme a noi…’

Per dar forza ai vivi nel garantire la continuità del percorso di una lotta…’

Tratto da Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta pp 154-155

Posted in Archivio | Comments Off on 25 febbraio 1980: i funerali di Valerio Verbano

Il 22 Febbraio 2011

La riapertura delle indagini per l’omicidio di Valerio Verbano viene annunciata con grande enfasi mediatica proprio nel 31° anniversario dell’assassinio, il 22 febbraio 2011.

Leggendo gli articoli pubblicati in quei giorni, e per qualche mese a seguire, sembrava che l’individuazione e l’arresto dei responsabili dell’omicidio fosse solo questione di tempo. Carla Verbano aveva la grande speranza di poter finalmente sapere chi avesse ucciso suo figlio. Aveva ricevuto forti indicazioni in tal senso dalla procura della Repubblica di Roma. Allo stesso tempo molti giornali esaltavano acriticamente la riapertura indagini e il buon lavoro svolto dal pm Erminio Amelio come se fosse imminente la risoluzione del caso.

Quattro anni dopo la riapertura delle indagini e dopo la pubblicazione della prima edizione del mio libro, scrissi un pezzo sul mio blog personale che titolai Molto rumore per nulla. Analizzai principalmente le fonti a stampa che avevano dato grande risalto sin dall’inizio alla riapertura delle indagini, elogiando acriticamente il lavoro della procura che invece, ancora una volta, nonostante tanti proclami, si è poi rivelato inconcludente visto che non solo gli assassini sono rimasti ignoti ma non c’è stata neanche un’autocritica del perché ciò sia accaduto.

Volevo, con il mio lavoro, dare il mio contributo a dipanare una matassa imbrogliata e fare chiarezza sul perché la procura non avesse trovato gli assassini, su quali coperture essi avessero avuto e hanno fino ad oggi, sul perché in merito a quello che molti hanno definito il più efferato omicidio fascista di quegli anni, nonostante ci fossero molti elementi per poter trovare i colpevoli, non ci fu realmente volontà di individuarli.

Chi scrive è sempre stato contro il carcere e non voleva mandare in carcere nessuno.

Non era assolutamente il mio intento.

L’intento era quello di mostrare, carte alla mano, come ancora una volta il porto delle nebbie avesse nascosto, insabbiato, le informazioni utili a trovare gli assassini e i mandanti dell’omicidio di Valerio Verbano.

Nelle pagine seguenti analizzo dunque di come i media hanno esaltato acriticamente il lavoro della procura, di come abbiano alimentato sensazionalismo e false speranze in Carla Verbano e di come abbiano invece poi stese un velo di silenzio sul fallimento dell’indagine.

Il trentunesimo anniversario dell’assassinio di Verbano, mentre fervono i preparativi per la giornata di assemblee e manifestazioni in sua memoria, Carlo Bonini annuncia clamorosamente sul quotidiano la Repubblica, sorprendendo un po’ tutti, che sono ufficialmente riaperte le indagini:

L’OMICIDIO – Delitto Verbano, si riapre il caso.

Dopo 31 anni due nomi e la pista nera

Lo studente di sinistra ucciso in casa da un commando vicino ai Nar. Nell’archivio del ragazzo i nomi degli indiziati: militanti di destra, avevano già colpito. Il primo uomo vive da tempo all’estero, il secondo è un insospettabile professionista.

ROMA – L’omicidio di Valerio Verbano è un caso che si riapre. E la fuga di almeno due dei suoi tre carnefici, forse sta per finire. Consegnando innanzitutto a chi è stata condannata a sopravvivere a quel lutto – Carla Zappelli, 87 anni, la madre di Verbano, suo unico figlio – una “verità” in grado di chiudere una delle più simboliche, disumane e insolute pagine di sangue della storia della violenza politica del nostro Paese. A trentuno anni esatti dall’esecuzione del diciannovenne militante della sinistra extraparlamentare (22 febbraio 1980) e dal buio che da allora ne ha avvolto le responsabilità, prende corpo una nuova indagine della procura di Roma (procuratore aggiunto Pietro Saviotti, pm Erminio Amelio) e del Ros dei carabinieri che, dopo ventiquattro mesi di lavoro, colloca al centro della scena del crimine almeno due nuovi indiziati.

Per quel che al momento è possibile ricostruire, due uomini oggi sulla cinquantina, la stessa età che avrebbe avuto la loro vittima se non la avessero giustiziata con un colpo di 38 special alla schiena. Il primo, riparato da tempo all’estero. L’altro, insospettabile professionista con una vita in Italia. Entrambi, già militanti della destra romana, sconosciuti alle cronache del tempo e – almeno a stare all’ipotesi investigativa – costituiti in un gruppo di fuoco deciso, nel febbraio di quel maledetto 1980, ad accreditarsi, con un cadavere di forte valore simbolico come quello di Valerio Verbano, agli occhi dei neofascisti Nuclei armati rivoluzionari di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro.

Degli indiziati (per altro, al momento, non ancora indagati), esistono dei nuovi identikit (aggiornati rispetto a quelli che vennero disegnati durante le prime indagini) ed è stata pazientemente ricostruita la loro storia di militanza violenta in quel triangolo dell’odio politico che, a Roma, tra la fine dei ’70 e l’80, erano diventati i quartieri Trieste-Salario, Talenti, Montesacro. Tra il ’76 e l’83 sono nove infatti gli omicidi di matrice politica che hanno come teatro questo quadrante della città. Muoiono Vittorio Occorsio, magistrato; Stefano Cecchetti, studente; Francesco Cecchin, studente; Valerio Verbano; Angelo Mancia, fattorino; Franco Evangelista, poliziotto; Mario Amato, magistrato; Luca Perucci, studente; Paolo Di Nella, studente. In una geografia della violenza che si contende il controllo di marciapiedi, bar, angoli di strada e ha come linee di confine tra “neri” e “rossi”, il fiume Aniene e il ponte delle Valli. Che risponde alla logica draconiana del “colpo su colpo”, per usare la definizione utilizzata nelle corti d’assise che giudicheranno a metà anni ’80 quei fatti di sangue. Secondo la quale, la morte di un “compagno” va lavata con il sangue di un “camerata” e viceversa.

A sparare sono soprattutto e innanzitutto i neofascisti dei Nar e di Terza posizione. I killer delle “volanti rosse”. Ma non solo. Gli assassini di Verbano – se la Procura e il Ros hanno colto nel segno – in questo contesto, di cui pure fanno parte a pieno titolo e di cui respirano l’aria, non sono infatti incardinati con un’organizzazione militare e politica riconoscibile (anche per questo, le indagini sull’omicidio, che, per 9 anni, concentreranno i loro sospetti su appartenenti alle due sigle del neofascismo assassino, Nar e Terza posizione, si chiuderanno nell’89 con un’archiviazione “per essere ignoti gli autori del reato”).

Gli assassini di Verbano sono dei violenti “cani sciolti” che si muovono in quell’area nera di “spontaneismo armato” che fa da corona ai Nar, cercandone la cooptazione. E scelgono la loro vittima con criterio. Perché la loro vittima conosce loro. Sa chi sono. Dove e come si muovono. Valerio Verbano – come oggi ha potuto accertare il Ros lavorando sui nuovi indiziati – ha infatti annotato i nomi dei suoi assassini nel mastodontico schedario che custodisce nella sua casa di via Monte Bianco 114 (e che in casa verrà ritrovato dagli inquirenti dopo l’omicidio). Centinaia di brevi report con cui, dal 1977, con metodica ossessione, ha dato un’identità e un volto, talvolta anche fotografico, ai militanti di destra del triangolo Trieste-Salario, Talenti, Montesacro.

Valerio Verbano non è una prima volta per i suoi assassini. Avevano sparato per uccidere undici mesi prima, la mattina del 30 marzo del 1979. Almeno di questo è convinto chi oggi si è rimesso a indagare. In una casa al civico 12 di via Valpolicella (nemmeno due chilometri in linea d’aria dall’abitazione di Verbano), dove cercavano Roberto Ugolini, altro militante della sinistra extraparlamentare. Anche quel giorno erano in tre. Anche quel giorno si fecero aprire la porta di casa dalla madre del ragazzo presentandosi come amici del figlio. Roberto Ugolini fu rapido a comprendere e a sottrarsi all’esecuzione. Uno dei tre fece fuoco riuscendo a colpirlo soltanto alle gambe. Erano a volto scoperto e loro descrizioni sono sovrapponibili a quelle degli assassini di Verbano. Un dettaglio, una ricorrenza. Sfuggito allora. E che ora potrebbe diventare cruciale.

Di errori e omissioni in questo articolo ce ne sono fin troppi. E questo è solo il primo di una serie di articoli inesatti legati alla riapertura delle indagini usciti in questi anni.

Bonini, ad esempio, scrive che Valerio «ha infatti annotato i nomi dei suoi assassini nel mastodontico schedario che custodisce nella sua casa di via Monte Bianco 114 (e che in casa verrà ritrovato dagli inquirenti dopo l’omicidio)».

Ora, a parte che definire lo schedario mastodontico è indubbiamente la solita esagerazione giornalistica, visto che, come già ampiamente spiegato nel paragrafo sul dossier Verbano, lo stesso era composto da alcune decine di pagine scritte a mano e dattiloscritte, 3 fotografie, una rubrica e un’agendina, appunti vari, Bonini sbaglia le date poiché questo materiale verrà sequestrato durante l’arresto di Valerio il 20 aprile 1979 e non dopo il suo omicidio, il 22 febbraio 1980. Come è possibile che Bonini affermi con tale certezza che gli assassini di Valerio sono gli stessi che ferirono Ugolini?

È possibile, tant’è che il sottoscritto avanzò tale ipotesi, ma da qui ad affermarlo con certezza ce ne corre: da chi ha ricevuto tale soffiata? Il segreto istruttorio che fine fa? E se è vero, perché gli assassini non sono stati arrestati?

Si alimentano così fin dall’inizio della riapertura delle indagini le illusioni di Carla Verbano, una donna anziana, una madre che ha sempre voluto sapere chi fossero gli assassini di suo figlio. Lo si farà per un anno e mezzo, fino al giorno della sua morte, avvenuta il 5 giugno 2012. Lo faranno il procuratore aggiunto Pietro Saviotti, il pubblico ministero Erminio Amelio, il colonnello dei Ros Massimiliano Macilenti.

Cercarono di mettere perfino dubbi nella mente e nel cuore di Carla, come da lei più volte riferito alle persone di più stretta fiducia, per allontanarla dagli amici di suo figlio, dai compagni e dalle compagne che per una vita le sono stati accanto. Per giungere oggi a nulla, a nove anni dalla riapertura delle indagini. Esattamente come nel 1989, anno in cui si archiviarono le prime indagini per il caso Verbano.

Poche ore dopo l’articolo di Bonini esce un articolo non firmato su la Repubblica versione online in cui, con un paradossale e ridicolo gioco degli specchi, il giornale conferma la riapertura delle indagini.

Omicidio Verbano, ci sono i due indagati. La madre della vittima: “Un sollievo”

Nel giorno del 31mo anniversario dell’assassinio del giovane comunista, confermata la notizia data da Repubblica sulla riapertura del “cold case”. I due sospettati riconosciuti da testimoni tramite foto segnaletiche dell’epoca. Uno risiede all’estero

ROMA – Sono effettivamente indagati per omicidio volontario dalla Procura di Roma i due uomini di cui scrive oggi Repubblica, indiziati dell’assassinio di Valerio Verbano, il giovane comunista ucciso in casa il 22 febbraio 1980. Entrambi identificati dopo una rilettura del vecchio fascicolo processuale, sarebbero stati riconosciuti da alcuni testimoni tramite ricognizione delle foto segnaletiche dell’epoca. Il caso Verbano è dunque riaperto, con l’obiettivo di consegnare alla giustizia, 31 anni dopo l’omicidio, due dei tre assassini di Verbano.

Un vero e proprio “cold case”, quello di Valerio Verbano. L’inchiesta è infatti stata riaperta oltre un anno fa nell’ambito di una verifica sulla insolubilità di vecchi casi attraverso l’utilizzo delle tecniche investigative più moderne e sofisticate. Le indagini sul caso Verbano sono coordinate dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti e dal sostituto Erminio Amelio. All’epoca dell’omicidio, i due indagati, uno dei quali oggi risiede all’estero, non militavano in organizzazioni eversive, ma, stando alle indiscrezioni, frequentavano personaggi legati a Terza Posizione e ai Nar. L’omicidio, avrebbero accertato i carabinieri del Ros, sarebbe maturato nell’ambito delle vendette tra estremisti di destra e di sinistra che caratterizzarono, soprattutto a Roma, gli anni di piombo. Nelle intenzioni degli inquirenti c’è ora la convocazione in procura dei due indagati.

La madre di Valerio Verbano, Carla Zappelli, 87 anni, aveva in precedenza commentato l’articolo di Repubblica in cui si rivela l’esistenza dei due presunti killer identificati. «Ieri in effetti» rivela la signora «è successo un fatto curioso, che si spiega alla luce di ciò che ho letto oggi sul giornale: sono venuti qui a casa mia un magistrato e un tenente colonnello dei Ros. Mi hanno detto che era un anno e mezzo che lavoravano sulla documentazione di Valerio».

«La notizia che ci sono finalmente due nomi collegati all’omicidio di mio figlio è un sollievo» dice ancora la signora Zappelli. «Se dopo 31 anni si riuscisse a scoprire qualcosa sarebbe meraviglioso. È quello che aspetto. Ed acquista un valore ancora più grande perché avviene in questa giornata, nel 31mo anniversario della morte di mio figlio. Non voglio illudermi più di tanto. È già successo tante volte e altrettante sono rimasta delusa. Però oggi ho più speranza».

1976-1983, il triangolo dell’odio

L’anziana madre della giovane vittima di quegli anni di violenza politica ricorda anche la precisione con cui suo figlio aveva messo assieme un suo schedario dei militanti di destra del “triangolo dell’odio”, i quartieri di Roma Trieste-Salario, Talenti, Montesacro. Documentazione che Valerio aveva collezionato in circa tre anni e che «assomigliava» ricorda la madre «per grandezza, a una tesi di laurea, senza la copertina rigida però. All’indomani dell’assassinio presero quel grande quaderno e quando mi venne restituito mancavano tante pagine» (…).

Ora, in questo articolo non firmato la notizia importante è quella in cui Carla Verbano riferisce della visita del magistrato e dell’ufficiale del Ros e, in particolare, del loro lavoro sulla documentazione di Valerio: di quale documentazione hanno parlato? Si riferiscono al reperto 97153A, di cui fa parte il dossier Verbano? Eppure quel dossier, a detta della Corte di Appello, era stato distrutto il 7 luglio 1987.

Ma il pm Amelio e il colonnello Macilenti, di loro due si tratta, dicono a Carla Verbano che stanno lavorando proprio su quel reperto: ne ho potuto avere la certezza soltanto pochi mesi fa, otto anni e mezzo dopo l’incontro riferito da Carla, quando, in qualità di consulente tecnico di parte dell’avvocato Flavio Rossi Albertini, legale di Manuela S., erede universale di Carla Verbano, ho studiato i faldoni delle nuove indagini, in cui era presente il reperto 97153A, fotocopia del dossier Verbano, quello sequestrato dalla Digos il 20 aprile del 1979.

Nello stesso giorno Angela Camuso, giornalista di cronaca nera e giudiziaria, scrive su l’Unità:

Omicidio Verbano, 31 anni dopo due indagati e una nuova pista

Massimo riserbo sui nomi iscritti nel registro degli indagati. Inchiesta riaperta, un confidente accusa Luigi Esposito e Giovanni Marion, due ex fascisti.

Le nuove indagini sull’assassinio di Valerio Verbano ripartono da un indirizzo ben preciso di Roma: via Nomentana 859, zona Montesacro. E si concentrano su una soffiata finora rimasta segreta ma arrivata allo Sco già nel 2005, quando un collaboratore ha indicato come autori dell’omicidio tale Luigi Esposito e Giovanni Marion, ai tempi dell’omicidio giovani picchiatori fascisti dello stesso quartiere di Valerio.

E infine conducono, oggi, all’iscrizione nel registro degli indagati per omicidio di due persone (sulla cui identità la procura mantiene il riserbo) e a un altro indirizzo: via Isacco Newton, quartiere Portuense. Dove nel 1994, cioè quattordici anni dopo l’omicidio del 18enne Verbano, si consumò una sanguinosa rapina organizzata da una banda di giovani fascisti di strada. In via Nomentana 859, invece, nel 2004 fu trovato un arsenale di armi, in una cantina nella disponibilità di un altro ex militante romano dell’estrema destra, Andrea Rufino, detto Kapozza, nato nel ’62 e legato a doppio filo ai personaggi coinvolti nella rapina di via Newton. Non a caso in via Nomentana, nascosto in mezzo a quel mucchio di armi (un fucile, due bombe a mano e dieci pistole, due con silenziatore) c’era anche il fascicolo delle indagini sulla rapina di via Newton, finita con la morte di un vigilante e di uno dei rapinatori, il fascista Elio Della Scala detto Kapplerino.

È seguendo la pista che collega i personaggi coinvolti nei due fatti – la rapina e la molto più recente scoperta della santabarbara – che i carabinieri del Ros, dopo 24 mesi di indagini, hanno ricostruito nell’informativa inviata di recente al pm di Roma Erminio Amelio, il possibile retroscena dell’omicidio di Verbano, avvenuto il 22 febbraio dell’80. Quando tre incappucciati entrarono a casa del ragazzo in via Monte Bianco, nello stesso quartiere in cui nel ’94 venne poi scoperto l’arsenale.

Soprattutto i carabinieri avrebbero trovato grazie ad alcuni riconoscimenti fotografici (e al ritrovamento di nuovi reperti mai esaminati prima) le prove mancanti nel quadro di indizi sui quali aveva già lavorato tre anni fa, senza che nulla trapelasse alla stampa, l’allora pm della procura di Roma Diana De Martino, la stessa alla quale lo Sco segnalò quella soffiata su Luigi Esposito e Giovanni Marion e che poi decise di chiudere il fascicolo, rimasto formalmente contro ignoti, con una richiesta di archiviazione. L’attenzione della procura e del Ros su Esposito e Marion, all’epoca gregari di una squadraccia di quartiere dedita alle rapine e una serie di traffici illeciti, non si è tuttavia mai abbassata del tutto anche perché la foto segnaletica del secondo risultava somigliante al seppur vago identikit reso dai passanti che videro il commando entrare ed uscire dal palazzo dove abitava Verbano.

Non solo. Marion risultava pure coinvolto nella rapina di via Newton il cui organizzatore, Kapplerino, capeggiava un gruppetto che si rifaceva ai Nar e firmava le azioni con una sigla cosiddetta “mimetica”. A seguito delle intercettazioni ambientali risultò infatti che Marion, fin da giovanissimo, era stato in stretti contatti con Rufino, quello che aveva la disponibilità della santabarbara: i due fondarono insieme l’associazione “Easy London”, attualmente legata a Forza Nuova, e restarono molto amici fino ad almeno il febbraio 2005 quando finirono in carcere insieme per la rapina di via Newton.

Giova ricordare poi che il secondo volantino di rivendicazione dell’omicidio Verbano era firmato Nar e che in quello stesso volantino si accusava Verbano di essere stato il mandante di fatto di una sparatoria avvenuta davanti a un bar di Montesacro frequentato da fascisti dove morì un innocente. Questo è importante perché i carabinieri oggi ritengono che anche un gruppuscolo di fascisti di strada come quelli della rapina in via Newton, magari per vendicare un affronto, avrebbe ben potuto appropriarsi, come peraltro già accaduto in altri casi, della sigla nera capeggiata da Fioravanti, Bracci e Carminati. Peraltro anche Valerio Fioravanti disse agli inquirenti di sapere che ad ammazzare Verbano erano stati dei “ragazzini” e che per questo non voleva rovinarli. Ed è noto che invece l’indagine che puntò ai veri capi dei Nuclei Armati Rivoluzionari si concluse in un nulla di fatto.

L’articolo di Angela Camusso, piuttosto confuso e impreciso, si rifà a precedenti articoli sulla non riapertura delle indagini, come visto in precedenza negli articoli su Aprile Online e Il Tempo del 2007.

Nel fascicolo della Procura da me acquisito con lunga fatica nel febbraio del 2009, riguardante la prima inchiesta non c’è menzione alcuna di una riapertura delle indagini. E non c’è di conseguenza nessuna richiesta di archiviazione da parte del pm Diana De Martino.

Fra l’altro Angela Camuso scrive che Fioravanti disse agli inquirenti «di sapere che ad ammazzare Verbano erano stati dei “ragazzini” e che per questo non voleva rovinarli».

Ma dove e quando lo avrebbe affermato? Non risulta in nessun atto ufficiale.

Non scrive nessuna nota e non rimanda a nessun documento: chi i documenti li ha consultati, sa, attenendosi a questi, che Fioravanti mai e poi mai, fino ad allora, era stato interrogato in merito all’omicidio di Verbano!

Le dichiarazioni di Fioravanti sul caso Verbano erano state sempre rilasciate ai giornalisti; nulla risulta invece nel fascicolo riguardante l’omicidio di Valerio.

L’articolo di Camuso confonde i piani: fra il ritrovamento dell’arsenale e le nuove indagini sull’omicidio di Verbano non c’è alcun collegamento, come ho potuto constatare leggendo le carte otto anni e mezzo dopo la stesura di questo articolo.

Purtroppo l’assoluta superficialità e le inesattezze riportate non hanno fatto altro che alimentare, in quei giorni, false speranze in chi credeva fosse possibile trovare gli assassini di Valerio Verbano.

La redazione online del Corriere della Sera, più sobriamente, scrive:

Il delitto il 22 febbraio 1980

Omicidio Verbano, due indagati

La Procura di Roma riapre l’inchiesta – Trentun anni dopo riaperto il caso sul delitto del 19enne comunista ucciso in casa da un commando vicino ai Nar

ROMA – Due indagati. Trentuno anni dopo. La procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati due uomini sospettati dell’uccisione di Valerio Verbano, il giovane militante 19enne della sinistra extraparlamentare ucciso in casa il 22 febbraio 1980. Gli accertamenti sono coordinati dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti e dal sostituto Erminio Amelio.

IDENTIFICATI – Entrambi gli indagati, secondo quanto si è appreso, sono stati identificati dopo una rilettura del vecchio fascicolo processuale, sarebbero stati riconosciuti, tramite ricognizione delle foto segnaletiche dell’epoca, da alcuni testimoni. I due indagati, uno dei quali residente all’estero, non facevano parte di organizzazioni eversive ma sarebbero legati a soggetti vicini a Terza Posizione ed ai Nar. I due potrebbero presto essere convocati dai magistrati. Il primo uomo sembra viva da tempo all’estero. Ma il secondo invece sarebbe un insospettabile professionista con una vita in Italia.

L’INCHIESTA – L’omicidio, avrebbero accertato i carabinieri del Ros, sarebbe maturato nell’ambito delle vendette tra estremisti di destra e di sinistra che caratterizzarono, soprattutto a Roma, gli anni di piombo. Nelle intenzioni degli inquirenti c’è ora la convocazione in procura dei due indagati. L’inchiesta giudiziaria, racconta il quotidiano La Repubblica, è stata riaperta oltre un anno fa nel quadro delle verifiche avviate su vecchi casi rimasti insoluti attraverso l’utilizzo di tecniche investigative più sofisticate. Come quello di Roberto Ugolini, «altro militante della sinistra extraparlamentare. Anche quel giorno erano in tre e si fecero aprire dalla madre del ragazzo presentandosi come amici del figlio», scrive il quotidiano romano. Ugolini riuscì a fuggire e fu colpito solo alle gambe.

Posted in Archivio | Comments Off on Il 22 Febbraio 2011

Quel maledetto ultimo giorno

Il 22 febbraio 1980 Valerio viene assassinato in casa sua, davanti ai suoi genitori, da tre individui con il viso mascherato. Cosa accadde quel giorno?

Carla Verbano racconta così le ultime ore di vita del figlio:

Verso le ore 12.45 di oggi ho sentito suonare alla porta della mia abitazione, sita all’interno 12 della scala B. Ho aperto senza guardare dallo spioncino perché non avevo alcun motivo di timore, ed è stato così che mi sono trovata innanzi tre individui, tutti con il volto travisato, che descriverò meglio in seguito. Sono rimasta senza parole per lo stupore e i tre, o meglio uno di essi, che calzava il berrettino marrone, mi ha chiesto testualmente: «Dove è Valerio?».

Ho fatto appena in tempo a rispondere che si trovava a scuola quando sono stata afferrata da uno di essi, che mi ha tamponato la bocca con una mano, sospingendomi all’interno dell’abitazione e chiedendomi contestualmente se in casa si trovava solo mio marito. Tutti sono entrati nella camera da letto dove si trovava mio marito, ad eccezione di quello che teneva a bada me. È stato così che ci hanno immobilizzato entrambi, legandoci con del nastro adesivo mani, piedi e tappandoci con lo stesso mezzo la bocca. Prima che mi mettessero il nastro adesivo sulla bocca, li ho pregati di far stendere sul letto mio marito, che nel frattempo era già stato legato e adagiato sul pavimento, facendo loro presente che soffriva di artrosi. Mi hanno accontentata stendendoci entrambi sul letto matrimoniale.

Devo precisare a questo punto che tutti i tre sconosciuti erano armati di pistola, una delle quali mi è sembrata inizialmente un bastone o un manganello, perché, come ho avuto modo di appurare, recava un grosso silenziatore avvolto in numerosi giri di nastro adesivo. I tre ci hanno chiesto a che ora rincasasse nostro figlio e ricevuta risposta nella maniera in cui potevamo rispondere, avendo la bocca coperta dal nastro, ci hanno raccomandato di non gridare e di non muoverci altrimenti sarebbe finita male. Ho tentato di farmi dire da loro quale fosse il motivo dell’aggressione ed essi, anzi quello con il berrettino marrone, mi ha detto che dovevano soltanto chiedere dei nomi a mio figlio e che non sarebbe successo niente. Mentre uno rimaneva costantemente a controllarci, quello col passamontagna celeste, gli altri due giravano nella casa e in particolare nell’ingresso, evidentemente nell’attesa dell’arrivo di mio figlio.

Egli è sopraggiunto verso le ore 13.40, quando ho sentito che introduceva le chiavi nella toppa della porta d’ingresso senza suonare. A tale avvisaglia, anche il terzo individuo che controllava noi si è avviato verso l’ingresso, e a questo punto ho inteso prima un rumore di colluttazione e subito dopo il rumore di vetri infranti della specchiera dell’attaccapanni che si era rotta. Ho udito quindi mio figlio gridare aiuto e poi un colpo di arma da fuoco molto attutito.

Mentre tentavo di trascinarmi legata verso l’ingresso, sentivo sempre mio figlio invocare aiuto, e quando sono riuscita a raggiungere l’atrio ho visto che la porta era stata lasciata aperta dai tre che si erano allontanati e che i vicini, richiamati dal rumore, stavano entrando in casa. Ho trovato mio figlio disteso sul divano del salotto di traverso, con le gambe fuori, che dava chiari segni di sofferenza. Non ho visto dove era stato ferito, perché abbiamo guardato solo sul davanti e alla testa senza notare lesioni o tracce di sangue. L’autoambulanza chiamata da un vicino è arrivata circa quindici minuti dopo, quando mio figlio incominciava a perdere sangue dalla bocca. Nel frattempo era sopraggiunta la Polizia, che ha tentato di prestare i primi soccorsi.

Le dichiarazioni di Sardo Verbano sulle ultime ore di vita del figlio sono simili. Una cosa importante che emerge dalle dichiarazioni di Sardo Verbano è che quel giorno lui non si recò al lavoro. Una cosa anomala per Sardo, che infatti ha dichiarato:

Nella giornata odierna non mi sono recato in ufficio, bensì assieme a mia moglie Zappelli Rina sono andato al Policlinico Umberto I per accertamenti medici. Assieme abbiamo fatto rientro a casa verso le ore 12.30. Dopo non molto, verso le ore 12.50 abbiamo udito, anzi mia moglie ha udito suonare il campanello di casa, per cui si è recata ad aprire.

Gli assassini di Valerio lo sapevano? Hanno agito all’insaputa di questa informazione o hanno agito lo stesso pur sapendo che entrambi i genitori erano in casa? E se così fosse, forse avevano pedinato preventivamente l’intera famiglia Verbano?

Immediatamente accorrono dunque i vicini di casa della famiglia Verbano, che poi testimonieranno alla polizia quanto hanno visto e sentito in quelle ore.

Verso le ore 13.30 mi trovavo nella mia abitazione intento a desinare, quando ho sentito un forte rumore, pensando che qualcuno avesse fatto cadere dei listelli che avevo posto all’angolo del pianerottolo adiacente all’abitazione del dott. Federico Pinci, sita all’int.14, sono uscito e m’avvidi che l’abitazione accanto alla mia aveva la porta aperta e dall’interno provenivano dei lamenti soffocati. Mi affacciai all’interno di essa e vidi la signora Verbano legata e imbavagliata che si trascinava seduta sul pavimento. Ho liberato la signora dai legamenti in nastro adesivo di colore marrone, e nel contempo la stessa mi indicava il figlio che giaceva su di un divano. Contemporaneamente entravano nell’appartamento altri inquilini tra i quali il mio collega Mirino Giuseppe.

Unitamente al Mirino abbiamo adagiato in modo migliore il Verbano Valerio, che prima stava con le gambe penzoloni dal divano stesso. Subito dopo incominciavano ad arrivare i primi soccorsi. Non ho sentito alcuna detonazione, e tantomeno uscire delle persone dall’abitazione del Verbano. Oltre ciò non ho sentito alcun trambusto per le scale.

Altre dichiarazioni dei vicini di casa convergono con quella di C. Gennaro. Tuttavia ce n’è una più accurata, che apre la porta a mille domande. È la dichiarazione di Gino De Angelis:

Verso le 13.40 circa, mentre stavo rientrando a casa, giunto in prossimità del portone d’ingresso dello stabile, notavo tre individui sui venti anni circa che stavano uscendo con passo piuttosto svelto. Uno dei tre e precisamente il più alto, che era quello che ho incrociato per primo, era alto circa 1,70-1,75, indossava un giaccone di colore chiaro, aveva capelli di colore castano chiaro, non molto lunghi e non portava né baffi né barba.

Gli altri due invece erano più bassi del primo di circa dieci centimetri e non portavano indumenti chiari. Preciso che il primo giovane era longilineo, mentre gli altri due rispetto al primo erano un po’ più paffuti, ma non grassi. Alcuni giorni addietro, non ricordo con esattezza quando, tre le ore 13 e le 14, notai quattro giovani, tra cui il Verbano Valerio, in via Monte Bianco, nei pressi del circolo Enal, che parlavano fra loro, mi sembra che i tre giovani incontrati oggi siano gli stessi. Probabilmente sarei in grado di riconoscere il primo dei tre giovani attraverso delle fotografie.

La Digos mostrò successivamente delle foto segnaletiche a Gino De Angelis, fra cui quelle di Nazareno De Angelis e Silvio Leoni, e altre di cui non è dato sapere, ma egli dichiarò di non aver riconosciuto nessun autore del fatto criminoso.

I ragazzi di cui parla Gino De Angelis erano gli stessi che aveva visto parlare con Valerio due giorni prima?

Fra i tanti vicini che accorrono in casa Verbano ce n’è uno particolarmente famoso alle cronache politiche e giudiziarie degli anni ’60 e ’70, che abbiamo già incontrato nel momento della morte di Paolo Rossi: è Mario Merlino, estremista di destra, che attraversa da protagonista tutti gli anni delle stragi fasciste e di Stato. Nel libro di Nicola Rao, Il piombo e la celtica, Merlino ha raccontato la sua presenza sul luogo del delitto. È l’unica testimonianza, fino al 2011, relativa alla sua presenza sul luogo del delitto, da lui stesso rilasciata. In questa intervista Merlino afferma che si era trasferito nel palazzo da poco tempo, al piano di sotto della famiglia Verbano e che conosceva Carla, in quanto, essendo lei una ex infermiera, si era prestata qualche volta a fare delle iniezioni al figlio piccolo dello stesso Merlino. Il giorno dell’omicidio il noto terrorista fascista narra di essere stato avvisato da una vicina di casa di quello che era successo, e di essere subito corso nell’appartamento dei Verbano. Stando alla sua testimonianza, lui stesso, per primo, ha slegato Carla e poi Sardo.

Quest’ultima dichiarazione contrasta nettamente con quelle fatte dagli altri vicini di casa, i quali affermano, nelle dichiarazioni rese alla Digos e sopra menzionate, di essere stati loro a slegare i coniugi Verbano.

Carla Verbano, d’altro canto, conferma che Merlino effettivamente fu tra le persone che accorse per aiutare lei e Sardo, ma a distanza di tanti anni non ricorda se fu esattamente lui a liberarli o meno. Carla, comunque, conferma che conosceva Merlino e che in qualche occasione si era recata nell’abitazione di lui e della moglie per fare delle iniezioni al loro figlio piccolo.

Fin qui tutto sembra rientrare nella casualità degli avvenimenti, ma occorre sottolineare un dato inquietante: Merlino non fu interrogato né dalla polizia del quarto distretto né dalla Digos, e successivamente neanche dal giudice D’Angelo. O, se lo fu, agli atti delle indagini non risulta nulla, niente, zero. Ma com’è possibile che uno dei personaggi più oscuri del neofascismo italiano, accorso per aiutare la famiglia Verbano, non sia stato interrogato dalla polizia né nell’immediato, né nei giorni successivi e nemmeno nei nove anni dell’istruttoria? Valerio aveva svolto approfondite ricerche sulla destra eversiva, e Merlino, con le sue ampie conoscenze dell’ambiente nazifascista romano, avrebbe potuto, se avesse voluto, aiutare gli inquirenti. Perché un testimone importante come lui non è stato mai interrogato?

Passeranno ben 32 anni prima che Merlino venga convocato dalla Procura di Roma, esattamente il 9 luglio 2012 e in questa occasione non riferirà ovviamente nulla di significativo, confermando semplicemente quanto da lui raccontato a Nicola Rao nel libro Il piombo e la celtica.

È lecito però chiedersi: Merlino era a conoscenza del lavoro di controinformazione svolto da Valerio? Non è un’ipotesi del tutto campata in aria, dal momento che i giornali avevano già ampiamente riportato la notizia del materiale sequestrato a Valerio a seguito dell’arresto.

Come detto, però, nelle carte dell’istruttoria non c’è traccia del passaggio di Mario Merlino. Questo è un esempio negativo di come gli inquirenti condurranno le indagini da quel 22 febbraio fino all’aprile del 1989, quando verrà archiviata l’istruttoria senza che siano trovati i colpevoli dell’omicidio di Valerio.

La ricostruzione della dinamica del delitto, agli atti, è affidata alle sole testimonianze di Carla e Sardo Verbano, che raccontano agli inquirenti giunti sul posto di essere stati immobilizzati e trattenuti nella loro camera da letto e di aver poi sentito, una volta rientrato Valerio a casa, rumori di colluttazione e un colpo esploso di pistola.

Alle 14.15, mentre il personale medico del Policlinico Umberto I accerta la morte di Valerio avvenuta in ambulanza, sul luogo del delitto arriva il personale della polizia scientifica per i rilievi.

Dal verbale di sopralluogo che viene stilato si legge che l’ingresso dell’abitazione dei Verbano è in disordine. I segni più visibili della colluttazione udita dai coniugi Verbano, avvenuta proprio nell’ingresso, sono rappresentati da uno specchio rotto e un attaccapanni capovolto, dietro il quale viene rinvenuto un rotolo di nastro adesivo integro, dello stesso tipo di quello usato per imbavagliare e legare i coniugi Verbano.

Nella parete di destra dell’ingresso, a poco meno di un metro d’altezza, viene rilevato un foro cieco di proiettile, che sarà poi estratto il giorno seguente dalla scientifica e risulterà essere un calibro 7,65. Sul pavimento, proprio sotto il foro di proiettile, viene repertato anche un bossolo, sul cui fondello è impressa la scritta 32 AUTO WW, che da perizia balistica risulterà appartenere alla stessa cartuccia del proiettile conficcato nel muro.

Su un mobile, sempre nell’ingresso, viene rinvenuta una borsa a tracolla color ghiaccio, aperta, contenente occhiali da sole, un teleobiettivo, un passamontagna scuro, un berretto di lana e una tuta blu con scarpette da ginnastica. La borsa in oggetto appartiene a Carla Verbano, ma non il suo contenuto: il passamontagna non è di nessun membro della famiglia, mentre gli occhiali da sole e il teleobiettivo sono oggetti che i killer hanno trafugato dalla camera di Valerio. È presumibile, infatti, che i killer abbiano riempito la borsa con l’intenzione di portare via qualcosa, ma che l’abbiano poi dimenticata quando si sono dati alla fuga.

Nell’attigua sala da pranzo, la scientifica rileva tracce di sangue sul divano e su un asciugamano posto sopra il divano. Sotto il divano viene rinvenuto un berretto di lana. Poco distante, la borsa a tracolla di cuoio di Valerio e, vicino, un guinzaglio a maglie piccole.

A circa due metri dal divano, a terra, giace una pistola con silenziatore, marca Beretta calibro 7,65, con numeri di matricola abrasi.

Il silenziatore a essa attaccato è artigianale ed è macchiato di sangue. Accanto alla pistola c’è una rudimentale custodia per silenziatore animata con stracci e rivestita con nastro adesivo analogo a quello usato per immobilizzare i Verbano. C’è anche un passamontagna celeste abbandonato vicino alla pistola.

Proseguendo con la descrizione fornita nel verbale, in camera da letto dei coniugi Verbano viene trovato del nastro adesivo spiegazzato, diviso in più segmenti abbastanza lunghi. Uno di questi segmenti ha un fazzoletto bianco attaccato a un’estremità.

Si tratta evidentemente del nastro usato per legare i Verbano e del fazzoletto usato per imbavagliarli.

Nella stanza di Valerio, stando sempre al verbale di sopralluogo della scientifica, c’è un armadio con le ante aperte e una gruccia a terra. Su un tavolino è appoggiata una macchina fotografica marca Zenit, priva di obiettivo, e altro materiale fotografico, come obiettivi, copriobiettivi, custodie per macchine fotografiche e per teleobiettivi.

Gli oggetti sopra menzionati, su ordine del funzionario della Digos e vicequestore Andreassi, presente anche lui sul luogo del delitto, vengono repertati in loco dal personale della scientifica, per essere poi da quest’ultima analizzati.

Ora, delle analisi scientifiche fatte su questi oggetti repertati, nelle carte processuali, sono riportate la perizia balistica sulla pistola Beretta e i proiettili e l’esame della macchina fotografica che si trovava nella stanza di Valerio, della quale fu sviluppato, con scarsi risultati come vedremo, il rullino.

Per quanto riguarda il restante materiale, come il passamontagna, il guinzaglio, il rotolo di nastro adesivo e il berretto rinvenuto nella borsa di Carla, tutti oggetti verosimilmente appartenuti ai killer, non ci sono relazioni peritali. Non è dato sapere, dunque, se in questi siano state rinvenute tracce di sangue, o capelli, o altro utile a risalire all’identità degli assassini.

Il verbale di sopralluogo accenna appena alle indagini svolte su questi oggetti:

Si dà atto che in sede di sopralluogo, per ordine del funzionario della DIGOS dottor Andreassi, sono stati repertati i sottoelencati oggetti che dopo accurato esame presso i locali del gabinetto regionale di Polizia scientifica vengono restituiti al prefato Ufficio.

Dunque questi oggetti, dopo “accurato esame” vengono restituiti alla Digos. Ma, come detto, di questi accurati esami non c’è traccia nelle carte dell’istruttoria, nemmeno una relazione che dica cosa è stato analizzato e come. Nello stesso verbale di sopralluogo viene sbrigativamente riportato l’esito negativo della ricerca delle impronte dei killer sul luogo del delitto:

Allo scopo di mettere in evidenza eventuali impronte di linee papillari latenti, abbiamo cosparso con polvere di alluminio tutti i mobili e gli oggetti con superficie levigata, presumibilmente toccati dagli ignoti, ma tale operazione ha dato esito negativo.

Carla Verbano dichiara sin da subito che uno dei killer, quello che indossava il passamontagna celeste, non aveva un guanto, e ne descrive persino le unghie17. I tre hanno frugato nella camera di Valerio, toccato i mobili nella stanza di Carla e Sardo, senza contare che c’è stata anche una colluttazione, nella quale sono stati perduti oggetti, come il rotolo integro di nastro adesivo, che molto probabilmente qualcuno di loro ha toccato senza guanti, se non altro nel momento dell’acquisto. È quindi poco soddisfacente leggere, in merito alla ricerca di impronte, solo due righe in un verbale di sopralluogo, ed è ancora più sconfortante, proprio alla luce della dinamica dell’omicidio, non trovare alcun accenno della ricerca di tracce ematiche appartenente agli assassini.

Anche se nelle carte manca una ricostruzione della dinamica del delitto fatta dagli inquirenti attraverso le risultanze scientifiche, possiamo ipotizzare a grandi linee, basandoci sulle testimonianze di Carla e Sardo, sul verbale di sopralluogo e su quelli della perizia balistica e dell’autopsia, che Valerio entrò in casa, trovò i suoi assassini nell’ingresso ad aspettarlo e reagì picchiandosi con loro. Si difese con tutte le sue forze, come testimoniano le numerose ecchimosi sul suo corpo e il disordine in casa. Riuscì probabilmente a togliere il passamontagna celeste a uno dei suoi aggressori, poi uno dei tre, e precisamente quello che aveva la pistola con il silenziatore artigianale, sparò un colpo, che si andò a conficcare nel muro, e poi un altro colpo che rimase inceppato dentro la camera di scoppio. Valerio riuscì probabilmente a disarmarlo, perché la pistola con silenziatore che sparò contro il muro è, stando alla perizia balistica, la stessa Beretta 7,65 rinvenuta a terra dagli inquirenti nell’abitazione.

Forse i colpi partirono da questa pistola durante la colluttazione, nella quale il silenziatore, peraltro, si macchiò di sangue. Ad ogni modo, Valerio cercò di scappare in sala da pranzo, presumibilmente per uscire in terrazza e da lì calarsi giù in strada, ma uno dei killer, armato di una calibro 38, lo fermò sparandogli un colpo alle spalle. Fu probabilmente questo il colpo, l’unico, che udirono Carla e Sardo Verbano, legati in camera da letto, dato che la Beretta aveva il silenziatore. In base all’esame autoptico, la traiettoria del proiettile risulta essere dal basso verso l’alto, con una leggera obliquità da destra verso sinistra, il che fa pensare che il killer si trovasse a terra in quel momento, e a una distanza abbastanza ravvicinata, di quaranta o cinquanta centimetri. Subito dopo il colpo Valerio cadde sul divano, colpito all’altezza della seconda vertebra lombare, mentre i killer si dileguarono velocemente dall’appartamento, lasciando la pistola con il silenziatore, la custodia del silenziatore, un guinzaglio, un passamontagna, un rotolo di nastro adesivo e altro materiale nella borsa color ghiaccio di Carla.

La ferita di Valerio è mortale, il proiettile ha lesionato l’aorta addominale e provocato una emorragia interna, e inutili sono i soccorsi.

Alla luce di questo quadro, ricercare tracce ematiche non appartenenti a Valerio, anche piccole, magari a terra o sullo specchio andato in frantumi, o nei passamontagna rinvenuti, o anche sotto le unghie di Valerio, dal momento che aveva colpito i suoi aggressori, sarebbe stato quantomeno sensato. Lo stesso si può dire in merito a una ricerca più accurata di impronte digitali, da farsi anche sugli oggetti come, appunto, il nastro adesivo o la pistola stessa, esami di cui nelle carte non c’è traccia.

Il giudice D’Angelo dà mandato al medico legale di eseguire l’autopsia sul corpo di Valerio, e chiede a questi di stabilire l’epoca e la causa della morte. Dal momento che si trattava di ferita d’arma da fuoco, il giudice chiede anche di accertare il numero dei colpi, la loro traiettoria e distanza dalla vittima. Il medico risponde alle domande, specificando che, per stabilire l’effettiva distanza, sarebbe stato necessario confrontare i risultati della perizia balistica.

Tale distanza può essere indicata, molto approssimativamente, nella misura di 40-50 centimetri; una maggiore precisione si potrebbe avere avendo a disposizione l’arma usata e verificandone gli effetti secondari dell’esplosione, essendo questi ultimi molto variabili.

Tuttavia questo confronto non verrà mai fatto, così come non sarà utilizzata in nessun modo l’informazione, espressamente richiesta dal giudice, circa il gruppo sanguigno di Valerio.

Al medico incaricato di svolgere l’autopsia, infatti, il giudice D’Angelo chiede di riferire il gruppo sanguigno di Valerio Verbano, che risulta essere B Rh positivo. Questo, presumibilmente, per compararlo con quello trovato in casa, e in particolare sul divano, sull’asciugamano e sul silenziatore, dove era possibile individuarlo anche a occhio nudo. Invece l’informazione sul gruppo sanguigno rimane fine a se stessa. Non risulta dalle carte che il sangue sul divano e sull’asciugamano sia stato analizzato, e nemmeno quello sul silenziatore che, più probabilmente, sarebbe potuto appartenere a uno dei killer. Al pari, nulla fu fatto per individuare eventuali tracce ematiche non immediatamente visibili a occhio nudo sul luogo del delitto. A cosa è servito stabilire il gruppo sanguigno di Valerio, se poi non sono state effettuate le dovute comparazioni con le altre tracce ematiche presenti sul luogo del delitto?

Ai periti della balistica, invece, il magistrato chiede di stabilire quali dei due proiettili repertati, uno conficcato nel muro d’ingresso e l’altro estratto dal corpo di Valerio, siano stati esplosi con la Beretta 7,65 rinvenuta sul luogo del delitto; chiede poi di precisare le cause che non hanno consentito l’espulsione del proiettile rinvenuto nella camera di scoppio della stessa pistola e, infine, di ricostruire il numero di matricola abrasa dell’arma.

In base ai risultati della perizia, la pistola Beretta 7,65, con matricola abrasa, munita di silenziatore artigianale, è la stessa che ha sparato il proiettile conficcato sul muro, cui appartiene anche il bossolo rinvenuto sul pavimento, proprio sotto il foro.

Il proiettile che ha ucciso Valerio, invece, proviene da una calibro 38 e presenta delle caratteristiche riconducibili a revolver calibro 38 marca Smith & Wesson, Sturm-Ruger o Taurus.

Per quanto riguarda la cartuccia inesplosa, rimasta dentro la camera di scoppio, il motivo della mancata esplosione è da attribuirsi alla presenza del silenziatore artigianale, e più precisamente alla imperfetta coassialità tra questo e la canna della pistola, cosa che ha provocato l’urto del proiettile contro i diaframmi interni del silenziatore. Infine, i periti ricostruiscono il numero di matricola con un buon margine di probabilità, e questo permetterà in effetti di risalire, come vedremo, al proprietario dell’arma il quale, come spiegherò meglio in seguito, si scoprirà essere l’agente di polizia Raffani.

Il depistaggio delle rivendicazioni

La prima rivendicazione dell’assassinio giunge alle 19.45 sotto forma di una telefonata anonima all’Ansa, in cui la voce di un uomo, che si dichiara appartenente al Gruppo Proletario Organizzato Armato, dice che l’omicidio del ragazzo è stato un errore, che l’intenzione era quella di gambizzarlo in quanto informatore della Polizia.

Alle ore 19.45 è qui pervenuta una telefonata anonima, di voce di uomo, il quale ha dettato il seguente messaggio: «Quel ragazzo ucciso è stato un errore. Volevamo solo gambizzarlo; è un delatore, un servo della Polizia. Seguirà comunicato. Gruppo Proletario Organizzato Armato».

Questa prima rivendicazione suggerisce un movente legato a un regolamento di conti e trasforma Valerio in un informatore della polizia. Al pari di quanto accaduto dopo l’omicidio di Fausto e Iaio, e anche dopo quello di Roberto Scialabba, gli inquirenti vengono depistati da rivendicazioni fuorvianti a cui scelgono di credere: nei primi due casi fu la loro presunta partecipazione ai traffici di droga, in questo la presunta attività di informatore svolta da Valerio.

Persino il Partito comunista contribuisce, a suo modo, a creare confusione, affermando che l’omicidio potrebbe derivare da una guerra interna al terrorismo rosso lasciando immaginare attraverso i suoi giornali, l’Unità e Paese Sera, che l’ipotesi che Verbano sia stato ucciso in quanto delatore non è affatto da scartare.

Fortunatamente, sia la famiglia di Valerio che i suoi compagni e le sue compagne riusciranno a smontare questa ipotesi politico-investigativa, dichiarando fin dal primo giorno che la matrice dell’assassinio è da ricercarsi nella destra neofascista.

A questa rivendicazione, comunque, ne segue una seconda, alle ore 21, giunta anch’essa presso l’Ansa attraverso una telefonata anonima. A rivendicare l’omicidio questa volta è il gruppo dei Nuclei Armati Rivoluzionari – Avanguardia di Fuoco che, facendo espressamente il nome di Valerio Verbano, dichiara di averlo ucciso perché l’anno precedente era stato il mandante dell’assassinio del “camerata” Stefano Cecchetti. Questo gruppo, per sottolineare l’autenticità della rivendicazione, indica il calibro 38 del proiettile che ha ucciso Verbano e riferisce anche di aver lasciato nell’appartamento una pistola calibro 7,65, che la polizia avrebbe nascosto senza informare la stampa:

Nuclei Armati Rivoluzionari – Avanguardia di Fuoco, alle ore 13.40 in via Monte Bianco abbiamo giustiziato Valerio Verbano.

I giornali e la televisione lo hanno descritto come un innocuo ragazzino, mentre un anno fa fu il mandante dell’assassinio del camerata Stefano Cecchetti a Talenti. Per quanto riguarda l’autenticità di questa rivendicazione, dall’autopsia risulterà che il colpo che l’ha ucciso è un calibro 38. Con questa azione non vogliamo riaprire la stupida guerra tra forze rivoluzionarie. D’altronde nulla può rimanere impunito. Onore ai camerati uccisi. Abbiamo lasciato nell’appartamento di Verbano una pistola calibro 7,65, la Polizia l’ha nascosta.

Questa seconda rivendicazione viene considerata, sia dagli inquirenti che dai giornali, ma anche dai compagni di Valerio, come la più importante, perché parla della pistola, probabilmente persa nella colluttazione, e del proiettile calibro 38 che lo ha effettivamente ucciso. Ma, a parte queste evidenze, l’indicazione del movente lascia tutti perplessi, dal momento che Valerio aveva più volte preso posizione pubblicamente criticando l’assassinio di Stefano Cecchetti, suo compagno di scuola, erroneamente ritenuto un fascista da chi l’ha ucciso, come abbiamo visto in precedenza.

Le ultime rivendicazioni della giornata arrivano entrambe alle 22.10: una al quotidiano Il Messaggero, l’altra sempre all’agenzia Ansa. La prima è del Movimento Rivoluzionario Popolare, che afferma di aver giustiziato Valerio Verbano in quanto «servo rosso del regime». La seconda, invece, arriva dai Nuclei Armati Rivoluzionari, i quali dichiarano che, dopo il fallito attentato a uno sporco rosso nel quartiere di Cinecittà, hanno colpito Antonio (sic) Verbano.

Entrambi questi comunicati terminano inneggiando alla memoria di Mikis Mantakas, studente greco iscritto all’Msi e ucciso nel 1975 durante gli scontri verificatisi in concomitanza con lo svolgimento del processo contro Achille Lollo.

Tratto da Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta, pp 131 – 143.

Posted in Archivio | Comments Off on Quel maledetto ultimo giorno

21 febbraio 2011: Procura e ROS a casa di CarlaVerbano

Il 21 febbraio 2022 alle ore 16, il pomeriggio prima del 31° corteo in ricordo di Verbano, il pubblico ministero Erminio Amelio e il tenente colonnello del ROS Macilenti si recano a casa di Carla Verbano, chiedendole il massimo riserbo, per acquisire sommarie informazioni sulle indagini appena riaperte.

Le chiedono le solite cose, già scritte e annotate più volte. Carla racconta di nuovo cosa accadde quel 22 febbraio del 1980, racconta di come in questi 31 anni insieme al marito Sardo ha continuato a cercare la verità sulla morte del figlio, sia chiedendo informazioni ai compagni e alle compagne di Valerio, sia ai fascisti come Nistri, che forse più onesto di molti altre Le disse che quel 22 febbraio si trovava in carcere e che nulla ha mai saputo riguardo l’omicidio ma che anche lo avesse saputo non lo avrebbe mai detto poiché era stato in galera e non voleva mandarci nessuno.

Finanche chiese ai due mentitori Fioravanti e Mambro che risposero come sappiamo.

Ha ribadito che, per quanto ne sapesse Lei, durante lo scontro di piazza Annibaliano, Valerio perse il documento d’identità e che i fascisti quel giorno presenti ne vennero in possesso.

Cosa le dicono il PM e il tenente colonnello del  ROS? Che le indagini stavano andando nella giusta direzione, di avere fiducia.

Sappiamo poi come è andata.

Posted in Archivio | Comments Off on 21 febbraio 2011: Procura e ROS a casa di CarlaVerbano

Gli ultimi giorni di Verbano

Nel mese di febbraio Valerio continua la sua attività di studio e controinformazione. Un particolare importante viene ricordato dalla sua legale, Giovanna Lombardi, la quale non sa esattamente se Valerio stesse per incontrare dei fascisti per avere delle informazioni, come ipotizzerà la stampa successivamente, ma sa che sta continuando la sua inchiesta:

Poi fu scarcerato e io l’ho rivisto, penso una settimana prima di quando fu ucciso. Venne allo studio, mi disse che doveva incontrare delle persone, mi sembra in un cinema, se mi ricordo bene. Per quello che aveva detto lui a me, stava facendo quelle che venivano chiamate “controinformazioni”, quindi un’indagine.Io però non avevo avuto l’impressione che potessero essere dei compagni, non avrebbe avuto ragione di dirmi: «Vado…». È una mia impressione, che lui stesse facendo una cosa un po’ pericolosa, sia perché mi aveva detto che era preoccupato per questo diario, sia perché poi mi era venuto ad “avvisare” prima di andare.

Alcuni giorni prima dell’omicidio Valerio chiede a Daniele, un compagno di classe dell’Archimede, se può prestargli un teleobiettivo per scattare delle foto. Daniele si recherà dal suo amico Maurizio, che vive a Ostia, per farsi prestare il teleobiettivo.

Il 19 febbraio Valerio si reca verso le 14.30 a casa di Orazio, amico e compagno di scuola, per chiedergli in prestito la macchina fotografica Zenit, visto che la sua gli è stata sequestrata dalla Digos il 20 aprile dell’anno prima. Verso le 15-15.30 va da Daniele per prendere il teleobiettivo. Infine verso sera si reca presso l’associazione calcistica Val Melaina per un’oretta, dove si svolge la festa del martedì grasso di carnevale. Valerio insieme a un amico compie questi giri alla ricerca della macchina fotografica e del teleobiettivo: ne ha bisogno per poter fare le fotografie il giorno dopo, alla sede del Msi.

Il 20 febbraio 1980 insieme al suo amico Massimo si reca presso la sede del Msi di via Valsolda, nel quartiere Nomentano, per la riapertura ufficiale dopo che un attentato dinamitardo l’aveva parzialmente distrutta. Valerio di nascosto e da lontano scatta delle fotografie dei presenti e prende appunti. Viene notato da alcuni di loro, quindi fugge con il suo amico.

Massimo racconta così al giudice D’Angelo quella giornata:

[…] Fu Valerio a dirmi che nella giornata avrebbero inaugurato la sezione del Msi-Dn di via Valsolda. Detta sezione era stata danneggiata da un attentato dinamitardo, era stata riparata e quel giorno doveva essere inaugurata con la partecipazione, come precisò Valerio, di Almirante e Pino Rauti. […] Mi propose pertanto di andare con lui per scattare delle foto e servirsene per la controinformazione.

Mi feci prestare da un mio amico un’autovettura Prinz color bianco, a bordo della quale ci recammo in via Valsolda. Dinnanzi alla sezione c’erano parecchie persone ma non vedemmo né Rauti né Almirante. Siccome eravamo molto vicini e potevamo essere osservati ci allontanammo e ci recammo al di là del ponte della Nomentana, in un punto dal quale era possibile scattare le foto alla sezione. Fu Valerio che ne scattò due o tre. Successivamente ci spostammo in una parallela di via Valsolda e Valerio scattò qualche altra foto, più precisamente scattò la foto ad alcuni fascisti che attaccavano manifesti. Penso che fossimo ad una distanza di un 100- 150 metri dalla sezione e forse anche di meno. Ricordo che mentre Valerio scattava le foto da quest’ultimo punto, un uomo di mezza età […] ci guardò attentamente con atteggiamento poco rassicurante; dissi a Valerio di stare attento perché quell’individuo ci guardava attentamente; Valerio rispose che forse si trattava di un poliziotto. L’uomo si allontanò da noi (nel momento in cui ci osservò poteva distare non più di dieci metri), si avvicinò verso la sezione del Msi, lo vidi parlare con un altro individuo. A questo punto, temendo che potessimo essere raggiunti dai fascisti, […] ci allontanammo per evitare il peggio.

Francesca ricorda come quel giorno non ci fossero solo Valerio e Massimo a fare le fotografie alla sede di via Valsolda:

Quel giorno non ci stanno solo loro a fare le fotografie, ci sono anche altri compagni… separatamente. Ma io non metto in relazione la sua ripresa dell’attività sotto quel punto di vista con l’uccisione del 22 febbraio.

In seguito verranno interrogati anche il segretario della sezione di via Valsolda e il segretario provinciale del Msi Bartolo Gallitto. Entrambi dichiarano di non sapere nulla di questa vicenda, esprimono profondo sdegno per l’assassinio di Valerio e si dicono pronti a collaborare con l’autorità giudiziaria. Gallitto si dice disponibile, dopo aver riferito ad Almirante, a fornire l’elenco degli iscritti al partito e all’organizzazione giovanile. Dagli atti però non risulta che il giudice D’Angelo abbia effettivamente acquisito questo elenco.

Come mai? Perché non si indagò a fondo in quella direzione?

Gallitto dichiara che non si svolse nessun tipo di manifestazione nei giorni precedenti l’assassinio di Valerio, e che addirittura nessuna sezione era dotata di un servizio d’ordine esterno alla sede!

Si dichiara comunque pronto a fornire i nomi degli assassini e dei loro eventuali complici qualora li avesse saputi, sottolineando come gli iscritti e gli attivisti del Msi e del Fronte della Gioventù fossero tutti in profonda polemica, accompagnata spesso da scontro fisico, con i Nar e Terza Posizione.

Forse Gallitto non era informato di quello che accadeva nella sezione del Fuan di via Siena, di Sommacampagna o di Acca Larentia, o a due passi dalla stessa sede provinciale di via Alessandria, dove i Nar proliferavano, crescevano, aggregavano da anni sotto gli occhi complici o quantomeno abbassati dei dirigenti missini.

Fra l’altro non risultano ulteriori indagini per verificare se la riapertura con tanto di piccola manifestazione fu fatta o meno, sempre in base al fatto che le indagini iniziavano e si fermano subito dietro l’angolo.

Carla Verbano racconta che la sera del 21 febbraio vide Valerio con alcuni amici:

L’altro ieri sera ho notato che s’intratteneva nei pressi del vicino circolo Enal (in via Monte Bianco 110, nda) insieme a due ragazzi a bordo di una vettura Fiat 500 color bianco, che ricordo targata Roma M. In quella circostanza mi disse che sarebbe andato al cinema con un amico e con un amico di questi, che era un ex-fascista.

Cosa accadde dunque la sera del 21 febbraio 1980? La notte precedente il suo assassinio, Valerio forse incontra un fascista per avere informazioni da aggiungere al suo dossier. Lo ricorda anche il giornalista Guido Rampoldi del quotidiano Paese Sera, che ricostruisce in un articolo le ultime ore della vita di Valerio:

Nella base neofascista scoperta a Ostia è stato trovato “qualcosa” («più di un indizio», affermano in ambienti giudiziari) che porta all’omicidio di Valerio Verbano, il giovane di Autonomia ucciso alla fine del febbraio scorso. Impossibile saperne di più. Logica vorrebbe, comunque, che il collegamento nasca da una qualche relazione riscontrata tra la pistola calibro 7,65 abbandonata dagli assassini nell’appartamento di Verbano e alcune delle armi sequestrate nel casolare di Ostia. Un casolare sempre più Nar, quindi.

Il gruppo che vi gravitava intorno sarebbe composto da una trentina di persone in tutto, venti “fiancheggiatori” e una decina di militanti a tempo pieno. Probabilmente la banda più organizzata dell’arcipelago dei Nuclei Armati Rivoluzionari. A quasi due mesi di distanza si torna così a parlare dell’omicidio di Valerio Verbano, un delitto feroce che rimane tuttora misterioso. I Nar, con una telefonata che aveva tutta l’aria di essere autentica, spiegarono: «Lo abbiamo ucciso perché era stato il mandante dell’assassinio di Stefano Cecchetti, il giovane di destra ferito a morte davanti al bar di Talenti». Ma questa motivazione non regge. Quella sera i sicari spararono nel mucchio, e solo per caso fu colpito Cecchetti. Il vero movente andrebbe cercato nelle informazioni che Verbano aveva raccolto sui Nuclei Armati Rivoluzionari. A questa conclusione provvisoria sono arrivati anche quei giovani di estrema sinistra che, dopo l’attentato, hanno svolto un’indagine per proprio conto ascoltando gli amici di Verbano.

Dalle testimonianze hanno dedotto che probabilmente l’autonomo aveva agganciato un neofascista, e questa sarebbe la chiave per inquadrare il delitto. Da quel contatto Verbano sperava di attingere notizie di prima mano sui Nar. Un gioco molto pericoloso, che si è concluso tragicamente. In particolare qualcuno ha raccontato che la sera precedente il delitto Verbano andò a un appuntamento con un giovane di estrema destra. Gli autori dell’“inchiesta” non sono riusciti a saperne il nome, ma hanno individuato il luogo dove sarebbe avvenuto l’incontro, un circolo ricreativo. L’episodio è importante, perché anticipa di poche ore l’attentato. In altre parole, non è escluso che sia stato lo stesso neofascista a consegnare Verbano ai Nar.

Chi era questo neofascista di cui parla Rampoldi?

Tratto da Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta, pp 138-143.
Posted in Archivio | Comments Off on Gli ultimi giorni di Verbano

Acquisizione dei reperti, inizio intercettazioni, ricerca…del dossier!

Il 15 febbraio vengono, ben un anno dopo la richiesta ufficiale, acquisiti da Amelio e Saviotti i reperti rimasti dell’omicidio.

L’analisi dei reperti, danneggiati e mal conservati, non porterà a nulla come vedremo.

Il 17 febbraio  iniziano le intercettazioni, a neofascisti dell’epoca e a vecchi amici di Verbano.

Nel contempo il Ros inizia le indagini per verificare se un neofascista fu pestato da militanti di sinistra nell’estate del 1979 presso il carcere di Regina Coeli, mentre era detenuto Verbano e per identificare chi era l’ex fascista che doveva andare al cinema con Valerio la sera del 21 febbraio 1980.

Viene richiesta l’acquisizione dei fascicoli riguardo gli omicidi di Walter Rossi e Ivo Zini.

Ma la cosa più assurda la leggiamo nella nota del 18 febbraio in cui il Ros chiede di verificare se nel fascicolo del 1979, quello riguardante il processo contro Valerio e i suoi compagni di collettivo, si trovi il reperto 97153, cioè il cosiddetto Dossier.

Ma se si trova già in mano del Ros e della Procura come già rilevato nella nota del 4 febbraio perché scrivere un’assurdità simile?

Sapendo, fra l’altro, che quel reperto non fu mai accluso a quel fascicolo e che come già rilevato fu, ma sappiamo non è così, distrutto da una richiesta del Giudice istruttore Claudio D’Angelo.

Posted in Archivio | Comments Off on Acquisizione dei reperti, inizio intercettazioni, ricerca…del dossier!

10 febbraio 2011: La riapertura ufficiale delle indagini

Il 10 febbraio 2011 mentre fervono i preparativi per assemblee e manifestazioni in vista del 22 febbraio, e mentre l’avvocato di Carla Verbano, su delega della stessa, annuncia che sta lavorando insieme al sottoscritto per richiedere la riapertura delle indagini, le stesse vengono ufficialmente riaperte autonomamente dalla Procura.

Viene delegato ufficialmente il Pubblico ministero Erminio Amelio da parte del Procuratore Capo Giovanni Ferrara e del Procuratore aggiunto Pietro Saviotti a svolgere le indagini per concorso in omicidio premeditato con finalità di terrorismo di Valerio Verbano, sequestro di persona a scopi di terrorismo ai danni di Carla e Sardo Verbano, porto e detenzione di arma clandestina aggravate dalla finalità di terrorismo.

Saviotti è il responsabile del gruppo specializzato reati contro la personalità dello Stato e l’ordine pubblico. Atti di terrorismo internazionale.

Il numero di iscrizione al registro è 6391/11I già 09/01659 F.N.C.R.

Ignoti sono gli autori e nessuno viene iscritto nel registro degli indagati.

Verbano è la parte offesa.

Insieme a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti.

Perché?

Per un errore di trascrizione probabilmente.

Ma che lascia capire sin da subito come lavora la Procura di Roma.

Posted in Archivio | Comments Off on 10 febbraio 2011: La riapertura ufficiale delle indagini

4 febbraio 2011: la nota info-investigativa del ROS

Il 4 febbraio del 2011 l’indagine entra nel vivo.

Il ROS invia al pubblico ministero Erminio Amelio una nota informativa dal nome: Indagine VALERIO.

Una nota lacunosa, confusa e contraddittoria.

Il documento è diviso in tre parti.

Nella prima parte, la premessa, vengono riportati gli accadimenti del 22 febbraio del 1980 e lo svolgimento delle infruttuose indagini lunghe ben 9 anni e terminate con la richiesta di archiviazione, deliberata dall’allora pubblico ministero Saviotti al giudice istruttore Claudio D’Angelo.

Nella seconda parte, la più corposa, si traccia il percorso investigativo svolto in un anno e le informazioni raccolte, spesso non comprovate però dai fatti.

Nella terza parte ci sono le conclusioni e le richieste per portare avanti le indagini.

Inoltre, viene allegato l’articolo del Corriere della Sera del 21 febbraio 2009 sottolineando come proprio da lì, da quell’intervista a Carla Verbano che riporta le affermazioni di Fioravanti e Mambro, ci sia stato l’interesse per riaprire le indagini.

Motivazione che lascia un grande dubbio, a chi scrive: è possibile che sia stata sufficiente un’intervista a Carla Verbano, riguardo il suo incontro con Fioravanti e Mambro, a far riaprire le indagini dopo anni di inattività totale della Procura?

Dunque, procediamo con ordine nell’analizzare questo documento.

Nella premessa non v’è scritto nulla di nuovo: è un lungo riepilogo di come il Giudice Istruttore non riuscì in alcun modo a trovare gli assassini di Verbano.

Cosa che, paradossalmente possiamo scrivere oggi delle seconde indagini, queste svolte dal ROS e dalla Procura.

L’unica informazione nuova è l’ipotesi che Andrea Munno fosse un informatore di Verbano.

Ipotesi assai suggestiva ma che non ha alcun riscontro e lascia piuttosto increduli. Munno era un neofascista che negli anni successivi divenne vicino all’ex sindaco Alemanno e che fu anche indagato per lo scandalo dei Punti Verdi nel processo di Mafia Capitale.

Questo scrive il ROS:

In relazione alla persona indicata dalla madre di Valerio, l’attività informativa svolta all’epoca, consentiva di ipotizzare che lo stesso si identifica in Munno Andrea, soggetto che avrebbe stretto amicizia proprio con Valerio Verbano durante la sua detenzione in carcere. Dopo la scarcerazione, i due avrebbero stretto legami di amicizia, tanto che lo stesso Verbano avrebbe presentato Munno Andrea ai suoi “compagni”, definendolo un “fascista pentito”1.

Ora, di Andrea Munno si sapeva fosse un neofascista molto attivo fra la fine degli anni 70 e i primi anni 80, si sapeva che fu aggredito in carcere da alcuni militanti di sinistra, nell’estate del 1979. Si presumeva, come scrisse Sardo Verbano nel suo memoriale, che poteva avere motivi di odio e vendetta contro Valerio ma che fosse poi diventato un amico e addirittura confidente di Valerio lascia proprio basiti e su questo, come su altre cose, il ROS non offre alcun riscontro.

Tutto può essere, in questa assurda vicenda, ma a oggi un’ipotesi del genere avanzata dal ROS pare davvero poco plausibile.

Certo, è assai più che probabile come riportato successivamente:

Sempre in relazione a Munno Andrea, il 6 agosto 1980, con nota n. 10655r/3 “P”, personale del Reparto Operativo Carabinieri di Roma riferiva al Tribunale diRoma – 81\ Sezione – dott. Mario Casavola, gli esiti del colloquio avvenuto il 4 agosto 1980 con “Munno Andrea”, all’epoca detenuto presso la Casa Circondariale di Regina Coeli, in seguito al quale veniva precisato che “si è avuta la sensazione che il Munno sia effettivamente a conoscenza di persone e fatti inerenti ambienti dell’eversione di destra di Roma, talché appare veramente utile tentare ripetuti contatti al fine di sciogliere le naturali e comprensibili riserve da lui espresse”. Con la medesima nota veniva richiesto “un permesso di colloquio permanente con il detenuto”. In relazione agli avvenuti colloqui, questo Reparto Anticrimine sta procedendo agli opportuni accertamenti per acquisire gli eventuali ulteriori elementi e documentazione che potrebbe essere utile allo svolgimento dell’indagine2.

Nella seconda parte vengono rilanciate vecchie e nuove ipotesi.

La prima riguarda le evidenti analogie tra l’omicidio di Valerio Verbano e il ferimento di Roberto Ugolini del 30 marzo del 1979.

La seconda riguarda la relazione con il ferimento di un militante di sinistra il 21 aprile del 1977 sul bus 37 nei pressi di Piazza Sempione a Monte Sacro.

La terza riguarda l’omicidio di Stefano Cecchetti del 10 gennaio del 1979.

Su tutte ovviamente l’attività politica antifascista militante svolta da Valerio come una causa, concausa, che ha generato l’omicidio dello stesso.

Dall’esame della documentazione relativa a episodi delittuosi compiuti immediatamente prima dell’omicidio di Valerio Verbano e comunque in danno di soggetti politicamente impegnati nell’area della destra e sinistra extraparlamentare, emergeva un’aggressione armata che, per modus operandi, rilevava interessanti analogie investigative proprio con l’omicidio in oggetto per il quale questo Reparto Anticrimine sta svolgendo specifica attività di indagine e cioè il ferimento di Ugolini Roberto3.

La nota prosegue ricordando la modalità in cui fu ferito Ugolini, le (pessime) indagini svolte dall’autorità giudiziaria e i processi che portarono a condanne secondarie, come dall’autore già ricordato4.

Il ROS insiste sottolineando una cosa nota e stranota:

L’eccezionale analogia delle modalità dell’aggressione a Ugolini Roberto, i cui autori non miravano certo al solo ferimento (non comprovato, n.d.a.) e dell’omicidio di Valerio Verbano, in un contesto cronologico, politico e territoriale ben determinato, lascia oggettivamente ritenere che i due episodi possano essere collegati tra loro, tenendo conto che Valerio Verbano, che poteva già essere stato individuato quale obiettivo da colpire nel breve termine, il 20 aprile 1979, come verrà più avanti dettagliatamente indicato, veniva tratto in arresto e rimaneva detenuto sino al novembre 1979. Questo aspetto investigativo verrà, nel corso della presente nota, ulteriormente sviluppato e delineato con gli elementi emersi dall’attività d’indagine sino ad ora svolta, relativamente all’analisi di altri gravissimi episodi delittuosi (alcuni dei quali conclusisi con l’omicidio “politico”), che possono trovare una logica spiegazione che è stata processualmente definita ritorsione del “colpo su colpo”, ossia, l’azione politicamente subita andava restituita5.

L’omicidio di Verbano è strettamente legato all’omicidio di Cecchetti poiché, secondo il ROS un ristretto gruppo di neofascisti, probabilmente vicino ai NAR, ha deciso l’azione nei confronti di Valerio Verbano, presumibilmente come ritorsione per l’omicidio di Stefano Cecchetti secondo la logica del “colpo sul colpo”, come riportato in una sentenza della Corte di Appello nel processo ai NAR del 19856.

Il ROS, a sorpresa, prosegue scrivendo che:

va ancora rilevato che il 20 aprile 1979, in seguito all’arresto di Valerio Verbano, presso l’abitazione dello stesso veniva rinvenuta, tra l’altro, una copiosa documentazione relativa ad una dettagliata schedatura di soggetti appartenenti all’estrema destra e alle Forza di Polizia, analizzate nell’ambito di questo procedimento in riferimento a cura di questo Reparto Anticrimine. Tra i nominativi inseriti all’interno di detto archivio, ritenuti di particolare interesse per le indagini che questo Reparto Anticrimine sta svolgendo in relazione all’omicidio di Valerio Verbano, vi erano quelli di numerosi neofascisti dell’epoca, soggetti che, quantomeno alla fine degli anni 70, erano ritenuti da Valerio Verbano dei fascisti e territorialmente inseriti o riconducibili nelle zone di Talenti, Monte Sacro, Nuovo Salario, Trieste, Nomentano7.

Dunque, anche se non lo scrive chiaramente, il ROS al 4 febbraio 2011 ha in mano il cosiddetto Dossier Verbano.

Da dove viene?

Non lo spiegherà mai e anzi a lungo negherà di averlo.

Dalle ceneri delle vecchie indagini ripartono le nuove, con ipotesi vecchie e già avanzate negli anni senza alcun riscontro ma anche con ipotesi nuove e nomi mai entrati in precedenza.

Nomi di neofascisti che non verranno iscritti al registro degli indagati e non verranno, come sappiamo, rinviati a giudizio.

Due in particolare verranno aleggiati, indicati sulla stampa uno come un professionista che vive a Milano, l’altro come un imprenditore che vive in Brasile, ma nulla emergerà contro di loro.

La cosa che il ROS non scrive è come sia arrivato a ipotizzare che questi due neofascisti possano aver ucciso Verbano.

Non ci sono prove. I due neofascisti non verranno nemmeno rinviati a giudizio.

La nota prosegue dilungandosi ampiamente sulla vicenda del ferimento di Maurizio S. il 21 aprile del 1977 – di cui ho dato già cenno nella seconda edizione del mio libro8 – e dell’assassinio di Stefano Cecchetti – di cui ho già dato ampiamente conto – e di come questi due fatti siano inseriti nella spirale che portò all’assassinio di Verbano, in particolar modo il secondo, per cui Valerio fu ignominiosamente accusato dai NAR di essere il mandante.

La vicenda del ferimento di Maurizio S. è fondamentale secondo il ROS, al punto che arriva a ipotizzare che il neofascista che sparò potrebbe aver fatto parte del gruppo di fuoco che uccise Verbano.

Nel corso degli anni le indagini proseguiranno in questa direzione ma non arriveranno a nessuna conclusione.

Anche perché, come ho già ricordato, le indagini per il ferimento di Maurizio S. e di un altro giovane estraneo al mondo della militanza politica, praticamente non si svolsero e il Giudice Istruttore archiviò subito il caso.

Una vicenda di cui darò comunque maggiori informazioni nel prosegui della lettura delle pagine delle indagini.

Nella terza parte, quella delle conclusioni e richieste, il ROS ribadisce che:

La presente attività d’indagine, svolta soprattutto attraverso l’esame della documentazione processuale relativa sia all’omicidio di Valerio Verbano, sia a quella relativa ai procedimenti penali instaurati in seguito agli episodi delittuosi avvenuti nella capitale tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, organizzati e compiuti da militanti di gruppi eversivi di opposta ideologia, ha consentito di rilevare elementi in grado di ritenere oggettivamente sostenibile l’ipotesi di una struttura di estrema destra che, agendo verosimilmente anche in relazione della “ritorsione” del “colpo su colpo”, aveva, tra gli altri, individuato e ucciso Valerio Verbano, omicidio sul quale da più di trent’anni sono state condotte attività d’indagine senza tuttavia risalire all’identità degli autori.

Le recentissime acquisizioni info-investigative condotte da questo Reparto Anticrimine hanno pertanto consentito di effettuare una rilettura degli avvenimenti delittuosi ripercorsi nella presente nota, che, a partire dal 21 aprile 1977, giorno in cui viene ferito a colpi di pistola un amico di Verbano sul bus n° 37 nei pressi di Piazza Sempione, consentivano di rilevare la presenza di alcuni neofascisti all’interno di un gruppo ideologicamente riconducibile alla destra eversiva;

Inoltre, si vuole ancora evidenziare come il modus operandi dell’omicidio di Valerio Verbano e il ferimento di Ugolini Roberto, presentino le seguenti evidenti analogie:

entrambi venivano compiuti di mattina, all’interno delle abitazioni delle vittime, da tre soggetti; le due azioni, per come condotte, dimostravano essere attuate previa programmazione e organizzazione di tipo militare.

Per quanto riguarda le rivendicazioni dei NAR quella pervenuta la stessa sera dell’omicidio di Valerio Verbano ritenuta attendibile per il formato particolare del proiettile esploso, potrebbe essere attribuibile a soggetti che non essendo ancora stabilmente strutturati nell’organizzazione, ne avevano avuto comunque contatti e si proponevano a essa con un gesto eclatante e sicuramente condivisibile da parte di quell’area politica.

Il successivo comunicato dei NAR, infatti, attraverso il quale l’organizzazione terroristica negava il proprio coinvolgimento nell’omicidio, potrebbe giustificarsi proprio perché appartenenti alla stessa erano verosimilmente all’oscuro del piano del commando omicida.

Oltre alla richiesta di intercettazioni il ROS chiedeva di svolgere attività di escussione di persone informate sui fatti, nonché di fare una nuova comparazione balistica delle armi rinvenute e sequestrate in diversi procedimenti penali, sia a carico dei militanti dei NAR sia nei confronti di altri soggetti che possano essere legati all’omicidio di Valerio Verbano.

Il ROS chiede al PM di procedere all’attività di intercettazione nei confronti dei diversi soggetti indicati nella nota anche perché è oggettivamente ipotizzabile che siano a conoscenza di aspetti ed elementi utili alle indagini in relazione all’area in cui è stato organizzato e attuato l’omicidio di Valerio Verbano.

Le operazioni di intercettazione a più di 30 anni dall’omicidio sono lo strumento necessario dal quale non si può prescindere, oltre a quanto processualmente già acquisito nel corso dei numerosi procedimenti penali indicati nella presente nota stante la distruzione di alcuni dei reperti dai quali oggi sarebbe stato possibile acquisire un profilo di almeno due dei tre soggetti che parteciparono al delitto e possono rivelarsi elementi utili alla identificazione degli autori e degli eventuali mandanti, anche in previsione della consueta commemorazione dell’omicidio di Valerio Verbano, presumendo che, come negli anni passati, susciterà l’interesse dei media per l’argomento, e sarà dunque utile ascoltare le conversazioni delle persone che possono essere a conoscenza della verità sullo specifico fatto delittuoso9.

A seguito di questa affermazione, lo stesso giorno il ROS chiede l’autorizzazione a intercettare alcuni vecchi amici di Valerio Verbano e, successivamente, un gruppo di neofascisti del quartiere Talenti e dintorni, attivi fra la fine degli anni 70 e gli anni 80.

1Tribunale di Roma, Procura della Repubblica, fasc. 6391/11, nota info-investigativa a cura del ROS, pag 36, 4 febbraio 2011.

2Ibidem.

3Ibidem pag. 39.

4Vedi Il ferimento di Roberto Ugolini, in Valerio Verbano una ferita ancora aperta, capitolo 4 pag 84, Roma Lorusso editore 2020.

5Tribunale di Roma, Procura della Repubblica, fasc. 6391/11, nota info-investigativa a cura del ROS, pag 40, Roma, febbraio 2011.

6Ibidem pag 41.

7Ibidem pag 41.

8Marco Capoccetti Boccia, Valerio Verbano una ferita ancora aperta, pp 40 e 41, Lorusso Editore, Roma, 2020.

9Tribunale di Roma, Procura della Repubblica, fasc. 6391/11, nota info-investigativa a cura del ROS, pp 76-77, Roma, febbraio 2011.

Posted in Archivio | Comments Off on 4 febbraio 2011: la nota info-investigativa del ROS

11 febbraio 2010

L’11 Febbraio 2010, 4 mesi dopo l’acquisizione da parte del Procuratore Saviotti del faldone delle vecchie indagini, e una settimana dopo la richiesta del sostituto procuratore al procuratore aggiunto, Amelio scrive a Macilenti e:

Chiede di eseguire l’allegato provvedimento di ritiro dei reperti in sequestro del procedimento presso l’ufficio corpi di reato.

Chiede di verificare se nel fascicolo del 1979 ci sia ancora il c.d. Dossier Verbano.

Chiede di verificare le attuali utenze telefoniche di alcuni fascisti dell’epoca e anche quella di Simona, che era stata arrestata con Verbano il 20 aprile del 1979.

Chiede di verificare se durante la detenzione a Regina Coeli ci fu un pestaggio ai danni di un estremista di destra e se c’è un collegamento con l’informatore di Verbano che, secondo alcune indiscrezioni giornalistiche dell’epoca, andò al cinema con Valerio due giorni prima del 22 febbraio 1980.

Chiede inoltre di acquisire i fascicoli sugli omicidi di Walter Rossi e Ivo Zini.

Chiede di acquisire foto degli estremisti di destra di quegli anni.

Chiede di svolgere qualsiasi atto a riscontro e di rispondere con dettagliata informativa1.

Di questo elenco di richieste, che come vedremo non porteranno a nulla di fatto, la cosa che sorprende è che Amelio chieda di verificare se il cosiddetto Dossier si trovi ancora nel fascicolo processuale dell’arresto di Verbano del 1979: ma Amelio fa finta di non sapere o davvero non sa nulla della storia, all’epoca nota e stranota, delle sparizioni del Dossier? Non si trova nel faldone del 1979 e neanche in quello del 1980 come ho già ampiamente documentato. Dove si trova? A questa domanda non abbiamo, a tutt’oggi nessuna risposta certa

  1. Tribunale di Roma, Procura della Repubblica, fasc. 6391/11, 11/15 febbraio 2011.

Posted in Archivio | Comments Off on 11 febbraio 2010

Il 21 Febbraio 2009

Dunque, da dove ricomincia la nuova inchiesta?
Assurdamente, leggendo gli atti, da un articolo di giornale!

Il 21 febbraio 2009 viene pubblicata sul Corriere della Sera l’intervista di Alessandro Capponi a Carla Verbano sull’incontro avuto con Valerio Fioravanti e Francesca Mambro:

Terrorismo. La donna apre un blog e incontra gli ex terroristi. L’omicidio fu rivendicato dai Nar
A 85 anni vede Mambro e Fioravanti. «Chi sono gli assassini di mio figlio?».
La madre di Valerio Verbano e il delitto irrisolto degli anni di piombo
Roma. Ogni giorno, di buon mattino, getta la sua rete di bit elettronici. Carla Verbano non ha smesso di cercare gli assassini del figlio Valerio, ucciso ventinove anni fa. È una donnina minuta – i capelli d’argento, lo sguardo fiero, i modi gentili – e a ottantacinque anni «da sola, completamente da sola», per «continuare a indagare, per capire, sperando che qualcuno mi dia informazioni», ecco, a ottantacinque anni dà la caccia a chi ha ucciso suo figlio nell’unico modo possibile: per fare le ricerche, usa internet.
«Navigo». Dice proprio così, la naturalezza di una ragazzina. «Ho cominciato a ottantatré anni, due anni fa, ho preso un insegnante di informatica, veniva a casa a farmi lezioni. Adesso so come funziona, sono brava». Scandagliando la Rete, si può arrivare a molti. Tre mesi fa, ha mandato una mail a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti: «Li ho invitati a casa e sono venuti. Speravo sapessero qualcosa dei tre killer che hanno ucciso Valerio».
Un incontro «difficile, certo, ma per amore di mio figlio farei questo e altro». Li ha accolti in casa «ma purtroppo, non mi hanno aiutato: hanno detto solo che forse era gente della banda della Magliana. Diciamo che l’incontro mi rimarrà nella memoria soprattutto perché li ho visti parlare di quegli anni tanto drammatici, degli omicidi e di quell’ orrore, davanti alla loro bambina di otto anni».
La signora Carla non è tipa da tacere: «Il papà e la piccola dopo un po’ sono andati via, e Francesca mi ha detto di non preoccuparmi, che la bambina è al corrente di tutto».
Quella di Valerio Verbano è una storia straziante: anni di violenza politica, quartieri rossi e neri, ragazzi contro ragazzi. Valerio è di sinistra, è intelligente e sa fare fotografie: scatto dopo scatto, prepara un dossier sull’estremismo di destra della Capitale. Scopre qualcosa di importante, forse.
Di certo, il 22 febbraio 1980 in tre – i Nar rivendicheranno l’omicidio – vanno nella sua casa di Val Melaina: legano la signora Carla e suo marito, e quando Valerio torna dal liceo gli sparano alla schiena. Aveva diciannove anni. E domani, da quel giorno, ne saranno passati ventinove. Il caso non è stato risolto, il dossier sui Nar è scomparso «così come i passamontagna e la pistola degli assassini, avevo chiesto l’esame del Dna. E ogni volta i magistrati mi dicono che non possono fare niente».
Una madre legata al letto mentre nella stanza accanto uccidono suo figlio: ecco, ci vuole altro per fermarla. Lei abita ancora lì, via Monte Bianco, periferia est, «la casa dove è morto Valerio». Tastiera, monitor, stampante, scanner: «Faccio ricerche, mando mail, ho aperto un blog, sono su Facebook». Scrive a Pasquale Belsito, altro esponente dei Nar ora in carcere. «Non s’è neanche degnato di rispondermi».
Come detto, contatta Mambro e Fioravanti: «Abbiamo parlato una buona mezz’ora, e Francesca Mambro mi ha scritto anche dopo avermi incontrata. Ma non credo che li rivedrò, sarebbe inutile».
Però lei non si arrende… «Mi sono messa al computer. In quale altro modo potrei sperare di avere informazioni sulla morte di mio figlio? Io vado avanti, finché vivrò cercherò di trovare gli assassini: so bene che non sarà facile, Valerio con il suo dossier deve aver intercettato qualche pezzo grosso».
Sono passati ventinove anni e dei killer non c’è traccia: ma c’è una mamma di ottantacinque anni che li sta cercando, da sola, col suo computer. Si prepara il caffè, sistema i capelli d’argento, fissa il monitor: e ogni giorno, di buon mattino, getta la sua rete1.

Un’intervista per chi sa la storia dei due stragisti fascisti che si commenta da sola: accusare vecchi sodali ormai morti oppure in carcere di un delitto così infame, senza circostanziare in alcun modo, prendendo letteralmente in giro un’anziana madre alla ricerca della verità.

Il 24 febbraio 2009, l’allora Tenente Colonnello Macilenti scriverà al procuratore aggiunto Pietro Saviotti per chiedere l’autorizzazione a verificare i fascicoli processuali relativi alle indagini svolte sull’omicidio di Valerio Verbano e sulla cosiddetta Banda della Magliana, per poter accertare se possano rilevarsi elementi riconducibili a quanto affermato, seppure in via ipotetica da Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, che all’epoca dei fatti erano militanti dei Nar, organizzazione terroristica in affari con la banda della Magliana. Da qui ripartiranno le nuove indagini, che comunque non andranno affatto in questa direzione, ma prenderanno ben altra strada. Dopo questa richiesta ci saranno ben 8 mesi di silenzio fino a quando il 7 ottobre del 2009 Saviotti chiede al Presidente del Tribunale con cortese urgenza, la trasmissione in visione del procedimento nr 589/80A depositato nel Vecchio Archivio del Giudice Istruttore. Il 9/10/2009 il Presidente autorizza.

Perché così tardi se le indagini erano ripartite ben 8 mesi prima?

Fra l’altro giova ricordarlo, Saviotti era stato l’ultimo P.M. delle primi indagini, quello che nel 1989 aveva chiesto al Giudice Istruttore Claudio D’Angelo di archiviare senza rinviare a giudizio nessuno dei 4 fascisti indagati.

Passa addirittura un anno e il 4/2/2010 Macilenti dichiara che vuol analizzare i reperti rimasti del caso Verbano.

Non sapendo o facendo finta di non sapere che i reperti rimasti sono pochissimi, poiché come ho già ampiamente spiegato, furono distrutti per ordine del Giudice Istruttore Claudio D’Angelo e Saviotti lo sapeva benissimo. Come scopriremo i pochissimi reperti non andati distrutti o persi saranno inutilizzabili ormai.

1. Alessandro Capponi, A 85 anni vede Mambro e Fioravanti. «Chi sono gli assassini di mio figlio?», “Corriere della Sera”, 21 febbraio 2009

Posted in Archivio | Comments Off on Il 21 Febbraio 2009