Il 21 Febbraio 2009

Dunque, da dove ricomincia la nuova inchiesta?
Assurdamente, leggendo gli atti, da un articolo di giornale!

Il 21 febbraio 2009 viene pubblicata sul Corriere della Sera l’intervista di Alessandro Capponi a Carla Verbano sull’incontro avuto con Valerio Fioravanti e Francesca Mambro:

Terrorismo. La donna apre un blog e incontra gli ex terroristi. L’omicidio fu rivendicato dai Nar
A 85 anni vede Mambro e Fioravanti. «Chi sono gli assassini di mio figlio?».
La madre di Valerio Verbano e il delitto irrisolto degli anni di piombo
Roma. Ogni giorno, di buon mattino, getta la sua rete di bit elettronici. Carla Verbano non ha smesso di cercare gli assassini del figlio Valerio, ucciso ventinove anni fa. È una donnina minuta – i capelli d’argento, lo sguardo fiero, i modi gentili – e a ottantacinque anni «da sola, completamente da sola», per «continuare a indagare, per capire, sperando che qualcuno mi dia informazioni», ecco, a ottantacinque anni dà la caccia a chi ha ucciso suo figlio nell’unico modo possibile: per fare le ricerche, usa internet.
«Navigo». Dice proprio così, la naturalezza di una ragazzina. «Ho cominciato a ottantatré anni, due anni fa, ho preso un insegnante di informatica, veniva a casa a farmi lezioni. Adesso so come funziona, sono brava». Scandagliando la Rete, si può arrivare a molti. Tre mesi fa, ha mandato una mail a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti: «Li ho invitati a casa e sono venuti. Speravo sapessero qualcosa dei tre killer che hanno ucciso Valerio».
Un incontro «difficile, certo, ma per amore di mio figlio farei questo e altro». Li ha accolti in casa «ma purtroppo, non mi hanno aiutato: hanno detto solo che forse era gente della banda della Magliana. Diciamo che l’incontro mi rimarrà nella memoria soprattutto perché li ho visti parlare di quegli anni tanto drammatici, degli omicidi e di quell’ orrore, davanti alla loro bambina di otto anni».
La signora Carla non è tipa da tacere: «Il papà e la piccola dopo un po’ sono andati via, e Francesca mi ha detto di non preoccuparmi, che la bambina è al corrente di tutto».
Quella di Valerio Verbano è una storia straziante: anni di violenza politica, quartieri rossi e neri, ragazzi contro ragazzi. Valerio è di sinistra, è intelligente e sa fare fotografie: scatto dopo scatto, prepara un dossier sull’estremismo di destra della Capitale. Scopre qualcosa di importante, forse.
Di certo, il 22 febbraio 1980 in tre – i Nar rivendicheranno l’omicidio – vanno nella sua casa di Val Melaina: legano la signora Carla e suo marito, e quando Valerio torna dal liceo gli sparano alla schiena. Aveva diciannove anni. E domani, da quel giorno, ne saranno passati ventinove. Il caso non è stato risolto, il dossier sui Nar è scomparso «così come i passamontagna e la pistola degli assassini, avevo chiesto l’esame del Dna. E ogni volta i magistrati mi dicono che non possono fare niente».
Una madre legata al letto mentre nella stanza accanto uccidono suo figlio: ecco, ci vuole altro per fermarla. Lei abita ancora lì, via Monte Bianco, periferia est, «la casa dove è morto Valerio». Tastiera, monitor, stampante, scanner: «Faccio ricerche, mando mail, ho aperto un blog, sono su Facebook». Scrive a Pasquale Belsito, altro esponente dei Nar ora in carcere. «Non s’è neanche degnato di rispondermi».
Come detto, contatta Mambro e Fioravanti: «Abbiamo parlato una buona mezz’ora, e Francesca Mambro mi ha scritto anche dopo avermi incontrata. Ma non credo che li rivedrò, sarebbe inutile».
Però lei non si arrende… «Mi sono messa al computer. In quale altro modo potrei sperare di avere informazioni sulla morte di mio figlio? Io vado avanti, finché vivrò cercherò di trovare gli assassini: so bene che non sarà facile, Valerio con il suo dossier deve aver intercettato qualche pezzo grosso».
Sono passati ventinove anni e dei killer non c’è traccia: ma c’è una mamma di ottantacinque anni che li sta cercando, da sola, col suo computer. Si prepara il caffè, sistema i capelli d’argento, fissa il monitor: e ogni giorno, di buon mattino, getta la sua rete1.

Un’intervista per chi sa la storia dei due stragisti fascisti che si commenta da sola: accusare vecchi sodali ormai morti oppure in carcere di un delitto così infame, senza circostanziare in alcun modo, prendendo letteralmente in giro un’anziana madre alla ricerca della verità.

Il 24 febbraio 2009, l’allora Tenente Colonnello Macilenti scriverà al procuratore aggiunto Pietro Saviotti per chiedere l’autorizzazione a verificare i fascicoli processuali relativi alle indagini svolte sull’omicidio di Valerio Verbano e sulla cosiddetta Banda della Magliana, per poter accertare se possano rilevarsi elementi riconducibili a quanto affermato, seppure in via ipotetica da Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, che all’epoca dei fatti erano militanti dei Nar, organizzazione terroristica in affari con la banda della Magliana. Da qui ripartiranno le nuove indagini, che comunque non andranno affatto in questa direzione, ma prenderanno ben altra strada. Dopo questa richiesta ci saranno ben 8 mesi di silenzio fino a quando il 7 ottobre del 2009 Saviotti chiede al Presidente del Tribunale con cortese urgenza, la trasmissione in visione del procedimento nr 589/80A depositato nel Vecchio Archivio del Giudice Istruttore. Il 9/10/2009 il Presidente autorizza.

Perché così tardi se le indagini erano ripartite ben 8 mesi prima?

Fra l’altro giova ricordarlo, Saviotti era stato l’ultimo P.M. delle primi indagini, quello che nel 1989 aveva chiesto al Giudice Istruttore Claudio D’Angelo di archiviare senza rinviare a giudizio nessuno dei 4 fascisti indagati.

Passa addirittura un anno e il 4/2/2010 Macilenti dichiara che vuol analizzare i reperti rimasti del caso Verbano.

Non sapendo o facendo finta di non sapere che i reperti rimasti sono pochissimi, poiché come ho già ampiamente spiegato, furono distrutti per ordine del Giudice Istruttore Claudio D’Angelo e Saviotti lo sapeva benissimo. Come scopriremo i pochissimi reperti non andati distrutti o persi saranno inutilizzabili ormai.

1. Alessandro Capponi, A 85 anni vede Mambro e Fioravanti. «Chi sono gli assassini di mio figlio?», “Corriere della Sera”, 21 febbraio 2009

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