Gli ultimi giorni di Verbano

Nel mese di febbraio Valerio continua la sua attività di studio e controinformazione. Un particolare importante viene ricordato dalla sua legale, Giovanna Lombardi, la quale non sa esattamente se Valerio stesse per incontrare dei fascisti per avere delle informazioni, come ipotizzerà la stampa successivamente, ma sa che sta continuando la sua inchiesta:

Poi fu scarcerato e io l’ho rivisto, penso una settimana prima di quando fu ucciso. Venne allo studio, mi disse che doveva incontrare delle persone, mi sembra in un cinema, se mi ricordo bene. Per quello che aveva detto lui a me, stava facendo quelle che venivano chiamate “controinformazioni”, quindi un’indagine.Io però non avevo avuto l’impressione che potessero essere dei compagni, non avrebbe avuto ragione di dirmi: «Vado…». È una mia impressione, che lui stesse facendo una cosa un po’ pericolosa, sia perché mi aveva detto che era preoccupato per questo diario, sia perché poi mi era venuto ad “avvisare” prima di andare.

Alcuni giorni prima dell’omicidio Valerio chiede a Daniele, un compagno di classe dell’Archimede, se può prestargli un teleobiettivo per scattare delle foto. Daniele si recherà dal suo amico Maurizio, che vive a Ostia, per farsi prestare il teleobiettivo.

Il 19 febbraio Valerio si reca verso le 14.30 a casa di Orazio, amico e compagno di scuola, per chiedergli in prestito la macchina fotografica Zenit, visto che la sua gli è stata sequestrata dalla Digos il 20 aprile dell’anno prima. Verso le 15-15.30 va da Daniele per prendere il teleobiettivo. Infine verso sera si reca presso l’associazione calcistica Val Melaina per un’oretta, dove si svolge la festa del martedì grasso di carnevale. Valerio insieme a un amico compie questi giri alla ricerca della macchina fotografica e del teleobiettivo: ne ha bisogno per poter fare le fotografie il giorno dopo, alla sede del Msi.

Il 20 febbraio 1980 insieme al suo amico Massimo si reca presso la sede del Msi di via Valsolda, nel quartiere Nomentano, per la riapertura ufficiale dopo che un attentato dinamitardo l’aveva parzialmente distrutta. Valerio di nascosto e da lontano scatta delle fotografie dei presenti e prende appunti. Viene notato da alcuni di loro, quindi fugge con il suo amico.

Massimo racconta così al giudice D’Angelo quella giornata:

[…] Fu Valerio a dirmi che nella giornata avrebbero inaugurato la sezione del Msi-Dn di via Valsolda. Detta sezione era stata danneggiata da un attentato dinamitardo, era stata riparata e quel giorno doveva essere inaugurata con la partecipazione, come precisò Valerio, di Almirante e Pino Rauti. […] Mi propose pertanto di andare con lui per scattare delle foto e servirsene per la controinformazione.

Mi feci prestare da un mio amico un’autovettura Prinz color bianco, a bordo della quale ci recammo in via Valsolda. Dinnanzi alla sezione c’erano parecchie persone ma non vedemmo né Rauti né Almirante. Siccome eravamo molto vicini e potevamo essere osservati ci allontanammo e ci recammo al di là del ponte della Nomentana, in un punto dal quale era possibile scattare le foto alla sezione. Fu Valerio che ne scattò due o tre. Successivamente ci spostammo in una parallela di via Valsolda e Valerio scattò qualche altra foto, più precisamente scattò la foto ad alcuni fascisti che attaccavano manifesti. Penso che fossimo ad una distanza di un 100- 150 metri dalla sezione e forse anche di meno. Ricordo che mentre Valerio scattava le foto da quest’ultimo punto, un uomo di mezza età […] ci guardò attentamente con atteggiamento poco rassicurante; dissi a Valerio di stare attento perché quell’individuo ci guardava attentamente; Valerio rispose che forse si trattava di un poliziotto. L’uomo si allontanò da noi (nel momento in cui ci osservò poteva distare non più di dieci metri), si avvicinò verso la sezione del Msi, lo vidi parlare con un altro individuo. A questo punto, temendo che potessimo essere raggiunti dai fascisti, […] ci allontanammo per evitare il peggio.

Francesca ricorda come quel giorno non ci fossero solo Valerio e Massimo a fare le fotografie alla sede di via Valsolda:

Quel giorno non ci stanno solo loro a fare le fotografie, ci sono anche altri compagni… separatamente. Ma io non metto in relazione la sua ripresa dell’attività sotto quel punto di vista con l’uccisione del 22 febbraio.

In seguito verranno interrogati anche il segretario della sezione di via Valsolda e il segretario provinciale del Msi Bartolo Gallitto. Entrambi dichiarano di non sapere nulla di questa vicenda, esprimono profondo sdegno per l’assassinio di Valerio e si dicono pronti a collaborare con l’autorità giudiziaria. Gallitto si dice disponibile, dopo aver riferito ad Almirante, a fornire l’elenco degli iscritti al partito e all’organizzazione giovanile. Dagli atti però non risulta che il giudice D’Angelo abbia effettivamente acquisito questo elenco.

Come mai? Perché non si indagò a fondo in quella direzione?

Gallitto dichiara che non si svolse nessun tipo di manifestazione nei giorni precedenti l’assassinio di Valerio, e che addirittura nessuna sezione era dotata di un servizio d’ordine esterno alla sede!

Si dichiara comunque pronto a fornire i nomi degli assassini e dei loro eventuali complici qualora li avesse saputi, sottolineando come gli iscritti e gli attivisti del Msi e del Fronte della Gioventù fossero tutti in profonda polemica, accompagnata spesso da scontro fisico, con i Nar e Terza Posizione.

Forse Gallitto non era informato di quello che accadeva nella sezione del Fuan di via Siena, di Sommacampagna o di Acca Larentia, o a due passi dalla stessa sede provinciale di via Alessandria, dove i Nar proliferavano, crescevano, aggregavano da anni sotto gli occhi complici o quantomeno abbassati dei dirigenti missini.

Fra l’altro non risultano ulteriori indagini per verificare se la riapertura con tanto di piccola manifestazione fu fatta o meno, sempre in base al fatto che le indagini iniziavano e si fermano subito dietro l’angolo.

Carla Verbano racconta che la sera del 21 febbraio vide Valerio con alcuni amici:

L’altro ieri sera ho notato che s’intratteneva nei pressi del vicino circolo Enal (in via Monte Bianco 110, nda) insieme a due ragazzi a bordo di una vettura Fiat 500 color bianco, che ricordo targata Roma M. In quella circostanza mi disse che sarebbe andato al cinema con un amico e con un amico di questi, che era un ex-fascista.

Cosa accadde dunque la sera del 21 febbraio 1980? La notte precedente il suo assassinio, Valerio forse incontra un fascista per avere informazioni da aggiungere al suo dossier. Lo ricorda anche il giornalista Guido Rampoldi del quotidiano Paese Sera, che ricostruisce in un articolo le ultime ore della vita di Valerio:

Nella base neofascista scoperta a Ostia è stato trovato “qualcosa” («più di un indizio», affermano in ambienti giudiziari) che porta all’omicidio di Valerio Verbano, il giovane di Autonomia ucciso alla fine del febbraio scorso. Impossibile saperne di più. Logica vorrebbe, comunque, che il collegamento nasca da una qualche relazione riscontrata tra la pistola calibro 7,65 abbandonata dagli assassini nell’appartamento di Verbano e alcune delle armi sequestrate nel casolare di Ostia. Un casolare sempre più Nar, quindi.

Il gruppo che vi gravitava intorno sarebbe composto da una trentina di persone in tutto, venti “fiancheggiatori” e una decina di militanti a tempo pieno. Probabilmente la banda più organizzata dell’arcipelago dei Nuclei Armati Rivoluzionari. A quasi due mesi di distanza si torna così a parlare dell’omicidio di Valerio Verbano, un delitto feroce che rimane tuttora misterioso. I Nar, con una telefonata che aveva tutta l’aria di essere autentica, spiegarono: «Lo abbiamo ucciso perché era stato il mandante dell’assassinio di Stefano Cecchetti, il giovane di destra ferito a morte davanti al bar di Talenti». Ma questa motivazione non regge. Quella sera i sicari spararono nel mucchio, e solo per caso fu colpito Cecchetti. Il vero movente andrebbe cercato nelle informazioni che Verbano aveva raccolto sui Nuclei Armati Rivoluzionari. A questa conclusione provvisoria sono arrivati anche quei giovani di estrema sinistra che, dopo l’attentato, hanno svolto un’indagine per proprio conto ascoltando gli amici di Verbano.

Dalle testimonianze hanno dedotto che probabilmente l’autonomo aveva agganciato un neofascista, e questa sarebbe la chiave per inquadrare il delitto. Da quel contatto Verbano sperava di attingere notizie di prima mano sui Nar. Un gioco molto pericoloso, che si è concluso tragicamente. In particolare qualcuno ha raccontato che la sera precedente il delitto Verbano andò a un appuntamento con un giovane di estrema destra. Gli autori dell’“inchiesta” non sono riusciti a saperne il nome, ma hanno individuato il luogo dove sarebbe avvenuto l’incontro, un circolo ricreativo. L’episodio è importante, perché anticipa di poche ore l’attentato. In altre parole, non è escluso che sia stato lo stesso neofascista a consegnare Verbano ai Nar.

Chi era questo neofascista di cui parla Rampoldi?

Tratto da Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta, pp 138-143.
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