Il 22 Febbraio 2011

La riapertura delle indagini per l’omicidio di Valerio Verbano viene annunciata con grande enfasi mediatica proprio nel 31° anniversario dell’assassinio, il 22 febbraio 2011.

Leggendo gli articoli pubblicati in quei giorni, e per qualche mese a seguire, sembrava che l’individuazione e l’arresto dei responsabili dell’omicidio fosse solo questione di tempo. Carla Verbano aveva la grande speranza di poter finalmente sapere chi avesse ucciso suo figlio. Aveva ricevuto forti indicazioni in tal senso dalla procura della Repubblica di Roma. Allo stesso tempo molti giornali esaltavano acriticamente la riapertura indagini e il buon lavoro svolto dal pm Erminio Amelio come se fosse imminente la risoluzione del caso.

Quattro anni dopo la riapertura delle indagini e dopo la pubblicazione della prima edizione del mio libro, scrissi un pezzo sul mio blog personale che titolai Molto rumore per nulla. Analizzai principalmente le fonti a stampa che avevano dato grande risalto sin dall’inizio alla riapertura delle indagini, elogiando acriticamente il lavoro della procura che invece, ancora una volta, nonostante tanti proclami, si è poi rivelato inconcludente visto che non solo gli assassini sono rimasti ignoti ma non c’è stata neanche un’autocritica del perché ciò sia accaduto.

Volevo, con il mio lavoro, dare il mio contributo a dipanare una matassa imbrogliata e fare chiarezza sul perché la procura non avesse trovato gli assassini, su quali coperture essi avessero avuto e hanno fino ad oggi, sul perché in merito a quello che molti hanno definito il più efferato omicidio fascista di quegli anni, nonostante ci fossero molti elementi per poter trovare i colpevoli, non ci fu realmente volontà di individuarli.

Chi scrive è sempre stato contro il carcere e non voleva mandare in carcere nessuno.

Non era assolutamente il mio intento.

L’intento era quello di mostrare, carte alla mano, come ancora una volta il porto delle nebbie avesse nascosto, insabbiato, le informazioni utili a trovare gli assassini e i mandanti dell’omicidio di Valerio Verbano.

Nelle pagine seguenti analizzo dunque di come i media hanno esaltato acriticamente il lavoro della procura, di come abbiano alimentato sensazionalismo e false speranze in Carla Verbano e di come abbiano invece poi stese un velo di silenzio sul fallimento dell’indagine.

Il trentunesimo anniversario dell’assassinio di Verbano, mentre fervono i preparativi per la giornata di assemblee e manifestazioni in sua memoria, Carlo Bonini annuncia clamorosamente sul quotidiano la Repubblica, sorprendendo un po’ tutti, che sono ufficialmente riaperte le indagini:

L’OMICIDIO – Delitto Verbano, si riapre il caso.

Dopo 31 anni due nomi e la pista nera

Lo studente di sinistra ucciso in casa da un commando vicino ai Nar. Nell’archivio del ragazzo i nomi degli indiziati: militanti di destra, avevano già colpito. Il primo uomo vive da tempo all’estero, il secondo è un insospettabile professionista.

ROMA – L’omicidio di Valerio Verbano è un caso che si riapre. E la fuga di almeno due dei suoi tre carnefici, forse sta per finire. Consegnando innanzitutto a chi è stata condannata a sopravvivere a quel lutto – Carla Zappelli, 87 anni, la madre di Verbano, suo unico figlio – una “verità” in grado di chiudere una delle più simboliche, disumane e insolute pagine di sangue della storia della violenza politica del nostro Paese. A trentuno anni esatti dall’esecuzione del diciannovenne militante della sinistra extraparlamentare (22 febbraio 1980) e dal buio che da allora ne ha avvolto le responsabilità, prende corpo una nuova indagine della procura di Roma (procuratore aggiunto Pietro Saviotti, pm Erminio Amelio) e del Ros dei carabinieri che, dopo ventiquattro mesi di lavoro, colloca al centro della scena del crimine almeno due nuovi indiziati.

Per quel che al momento è possibile ricostruire, due uomini oggi sulla cinquantina, la stessa età che avrebbe avuto la loro vittima se non la avessero giustiziata con un colpo di 38 special alla schiena. Il primo, riparato da tempo all’estero. L’altro, insospettabile professionista con una vita in Italia. Entrambi, già militanti della destra romana, sconosciuti alle cronache del tempo e – almeno a stare all’ipotesi investigativa – costituiti in un gruppo di fuoco deciso, nel febbraio di quel maledetto 1980, ad accreditarsi, con un cadavere di forte valore simbolico come quello di Valerio Verbano, agli occhi dei neofascisti Nuclei armati rivoluzionari di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro.

Degli indiziati (per altro, al momento, non ancora indagati), esistono dei nuovi identikit (aggiornati rispetto a quelli che vennero disegnati durante le prime indagini) ed è stata pazientemente ricostruita la loro storia di militanza violenta in quel triangolo dell’odio politico che, a Roma, tra la fine dei ’70 e l’80, erano diventati i quartieri Trieste-Salario, Talenti, Montesacro. Tra il ’76 e l’83 sono nove infatti gli omicidi di matrice politica che hanno come teatro questo quadrante della città. Muoiono Vittorio Occorsio, magistrato; Stefano Cecchetti, studente; Francesco Cecchin, studente; Valerio Verbano; Angelo Mancia, fattorino; Franco Evangelista, poliziotto; Mario Amato, magistrato; Luca Perucci, studente; Paolo Di Nella, studente. In una geografia della violenza che si contende il controllo di marciapiedi, bar, angoli di strada e ha come linee di confine tra “neri” e “rossi”, il fiume Aniene e il ponte delle Valli. Che risponde alla logica draconiana del “colpo su colpo”, per usare la definizione utilizzata nelle corti d’assise che giudicheranno a metà anni ’80 quei fatti di sangue. Secondo la quale, la morte di un “compagno” va lavata con il sangue di un “camerata” e viceversa.

A sparare sono soprattutto e innanzitutto i neofascisti dei Nar e di Terza posizione. I killer delle “volanti rosse”. Ma non solo. Gli assassini di Verbano – se la Procura e il Ros hanno colto nel segno – in questo contesto, di cui pure fanno parte a pieno titolo e di cui respirano l’aria, non sono infatti incardinati con un’organizzazione militare e politica riconoscibile (anche per questo, le indagini sull’omicidio, che, per 9 anni, concentreranno i loro sospetti su appartenenti alle due sigle del neofascismo assassino, Nar e Terza posizione, si chiuderanno nell’89 con un’archiviazione “per essere ignoti gli autori del reato”).

Gli assassini di Verbano sono dei violenti “cani sciolti” che si muovono in quell’area nera di “spontaneismo armato” che fa da corona ai Nar, cercandone la cooptazione. E scelgono la loro vittima con criterio. Perché la loro vittima conosce loro. Sa chi sono. Dove e come si muovono. Valerio Verbano – come oggi ha potuto accertare il Ros lavorando sui nuovi indiziati – ha infatti annotato i nomi dei suoi assassini nel mastodontico schedario che custodisce nella sua casa di via Monte Bianco 114 (e che in casa verrà ritrovato dagli inquirenti dopo l’omicidio). Centinaia di brevi report con cui, dal 1977, con metodica ossessione, ha dato un’identità e un volto, talvolta anche fotografico, ai militanti di destra del triangolo Trieste-Salario, Talenti, Montesacro.

Valerio Verbano non è una prima volta per i suoi assassini. Avevano sparato per uccidere undici mesi prima, la mattina del 30 marzo del 1979. Almeno di questo è convinto chi oggi si è rimesso a indagare. In una casa al civico 12 di via Valpolicella (nemmeno due chilometri in linea d’aria dall’abitazione di Verbano), dove cercavano Roberto Ugolini, altro militante della sinistra extraparlamentare. Anche quel giorno erano in tre. Anche quel giorno si fecero aprire la porta di casa dalla madre del ragazzo presentandosi come amici del figlio. Roberto Ugolini fu rapido a comprendere e a sottrarsi all’esecuzione. Uno dei tre fece fuoco riuscendo a colpirlo soltanto alle gambe. Erano a volto scoperto e loro descrizioni sono sovrapponibili a quelle degli assassini di Verbano. Un dettaglio, una ricorrenza. Sfuggito allora. E che ora potrebbe diventare cruciale.

Di errori e omissioni in questo articolo ce ne sono fin troppi. E questo è solo il primo di una serie di articoli inesatti legati alla riapertura delle indagini usciti in questi anni.

Bonini, ad esempio, scrive che Valerio «ha infatti annotato i nomi dei suoi assassini nel mastodontico schedario che custodisce nella sua casa di via Monte Bianco 114 (e che in casa verrà ritrovato dagli inquirenti dopo l’omicidio)».

Ora, a parte che definire lo schedario mastodontico è indubbiamente la solita esagerazione giornalistica, visto che, come già ampiamente spiegato nel paragrafo sul dossier Verbano, lo stesso era composto da alcune decine di pagine scritte a mano e dattiloscritte, 3 fotografie, una rubrica e un’agendina, appunti vari, Bonini sbaglia le date poiché questo materiale verrà sequestrato durante l’arresto di Valerio il 20 aprile 1979 e non dopo il suo omicidio, il 22 febbraio 1980. Come è possibile che Bonini affermi con tale certezza che gli assassini di Valerio sono gli stessi che ferirono Ugolini?

È possibile, tant’è che il sottoscritto avanzò tale ipotesi, ma da qui ad affermarlo con certezza ce ne corre: da chi ha ricevuto tale soffiata? Il segreto istruttorio che fine fa? E se è vero, perché gli assassini non sono stati arrestati?

Si alimentano così fin dall’inizio della riapertura delle indagini le illusioni di Carla Verbano, una donna anziana, una madre che ha sempre voluto sapere chi fossero gli assassini di suo figlio. Lo si farà per un anno e mezzo, fino al giorno della sua morte, avvenuta il 5 giugno 2012. Lo faranno il procuratore aggiunto Pietro Saviotti, il pubblico ministero Erminio Amelio, il colonnello dei Ros Massimiliano Macilenti.

Cercarono di mettere perfino dubbi nella mente e nel cuore di Carla, come da lei più volte riferito alle persone di più stretta fiducia, per allontanarla dagli amici di suo figlio, dai compagni e dalle compagne che per una vita le sono stati accanto. Per giungere oggi a nulla, a nove anni dalla riapertura delle indagini. Esattamente come nel 1989, anno in cui si archiviarono le prime indagini per il caso Verbano.

Poche ore dopo l’articolo di Bonini esce un articolo non firmato su la Repubblica versione online in cui, con un paradossale e ridicolo gioco degli specchi, il giornale conferma la riapertura delle indagini.

Omicidio Verbano, ci sono i due indagati. La madre della vittima: “Un sollievo”

Nel giorno del 31mo anniversario dell’assassinio del giovane comunista, confermata la notizia data da Repubblica sulla riapertura del “cold case”. I due sospettati riconosciuti da testimoni tramite foto segnaletiche dell’epoca. Uno risiede all’estero

ROMA – Sono effettivamente indagati per omicidio volontario dalla Procura di Roma i due uomini di cui scrive oggi Repubblica, indiziati dell’assassinio di Valerio Verbano, il giovane comunista ucciso in casa il 22 febbraio 1980. Entrambi identificati dopo una rilettura del vecchio fascicolo processuale, sarebbero stati riconosciuti da alcuni testimoni tramite ricognizione delle foto segnaletiche dell’epoca. Il caso Verbano è dunque riaperto, con l’obiettivo di consegnare alla giustizia, 31 anni dopo l’omicidio, due dei tre assassini di Verbano.

Un vero e proprio “cold case”, quello di Valerio Verbano. L’inchiesta è infatti stata riaperta oltre un anno fa nell’ambito di una verifica sulla insolubilità di vecchi casi attraverso l’utilizzo delle tecniche investigative più moderne e sofisticate. Le indagini sul caso Verbano sono coordinate dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti e dal sostituto Erminio Amelio. All’epoca dell’omicidio, i due indagati, uno dei quali oggi risiede all’estero, non militavano in organizzazioni eversive, ma, stando alle indiscrezioni, frequentavano personaggi legati a Terza Posizione e ai Nar. L’omicidio, avrebbero accertato i carabinieri del Ros, sarebbe maturato nell’ambito delle vendette tra estremisti di destra e di sinistra che caratterizzarono, soprattutto a Roma, gli anni di piombo. Nelle intenzioni degli inquirenti c’è ora la convocazione in procura dei due indagati.

La madre di Valerio Verbano, Carla Zappelli, 87 anni, aveva in precedenza commentato l’articolo di Repubblica in cui si rivela l’esistenza dei due presunti killer identificati. «Ieri in effetti» rivela la signora «è successo un fatto curioso, che si spiega alla luce di ciò che ho letto oggi sul giornale: sono venuti qui a casa mia un magistrato e un tenente colonnello dei Ros. Mi hanno detto che era un anno e mezzo che lavoravano sulla documentazione di Valerio».

«La notizia che ci sono finalmente due nomi collegati all’omicidio di mio figlio è un sollievo» dice ancora la signora Zappelli. «Se dopo 31 anni si riuscisse a scoprire qualcosa sarebbe meraviglioso. È quello che aspetto. Ed acquista un valore ancora più grande perché avviene in questa giornata, nel 31mo anniversario della morte di mio figlio. Non voglio illudermi più di tanto. È già successo tante volte e altrettante sono rimasta delusa. Però oggi ho più speranza».

1976-1983, il triangolo dell’odio

L’anziana madre della giovane vittima di quegli anni di violenza politica ricorda anche la precisione con cui suo figlio aveva messo assieme un suo schedario dei militanti di destra del “triangolo dell’odio”, i quartieri di Roma Trieste-Salario, Talenti, Montesacro. Documentazione che Valerio aveva collezionato in circa tre anni e che «assomigliava» ricorda la madre «per grandezza, a una tesi di laurea, senza la copertina rigida però. All’indomani dell’assassinio presero quel grande quaderno e quando mi venne restituito mancavano tante pagine» (…).

Ora, in questo articolo non firmato la notizia importante è quella in cui Carla Verbano riferisce della visita del magistrato e dell’ufficiale del Ros e, in particolare, del loro lavoro sulla documentazione di Valerio: di quale documentazione hanno parlato? Si riferiscono al reperto 97153A, di cui fa parte il dossier Verbano? Eppure quel dossier, a detta della Corte di Appello, era stato distrutto il 7 luglio 1987.

Ma il pm Amelio e il colonnello Macilenti, di loro due si tratta, dicono a Carla Verbano che stanno lavorando proprio su quel reperto: ne ho potuto avere la certezza soltanto pochi mesi fa, otto anni e mezzo dopo l’incontro riferito da Carla, quando, in qualità di consulente tecnico di parte dell’avvocato Flavio Rossi Albertini, legale di Manuela S., erede universale di Carla Verbano, ho studiato i faldoni delle nuove indagini, in cui era presente il reperto 97153A, fotocopia del dossier Verbano, quello sequestrato dalla Digos il 20 aprile del 1979.

Nello stesso giorno Angela Camuso, giornalista di cronaca nera e giudiziaria, scrive su l’Unità:

Omicidio Verbano, 31 anni dopo due indagati e una nuova pista

Massimo riserbo sui nomi iscritti nel registro degli indagati. Inchiesta riaperta, un confidente accusa Luigi Esposito e Giovanni Marion, due ex fascisti.

Le nuove indagini sull’assassinio di Valerio Verbano ripartono da un indirizzo ben preciso di Roma: via Nomentana 859, zona Montesacro. E si concentrano su una soffiata finora rimasta segreta ma arrivata allo Sco già nel 2005, quando un collaboratore ha indicato come autori dell’omicidio tale Luigi Esposito e Giovanni Marion, ai tempi dell’omicidio giovani picchiatori fascisti dello stesso quartiere di Valerio.

E infine conducono, oggi, all’iscrizione nel registro degli indagati per omicidio di due persone (sulla cui identità la procura mantiene il riserbo) e a un altro indirizzo: via Isacco Newton, quartiere Portuense. Dove nel 1994, cioè quattordici anni dopo l’omicidio del 18enne Verbano, si consumò una sanguinosa rapina organizzata da una banda di giovani fascisti di strada. In via Nomentana 859, invece, nel 2004 fu trovato un arsenale di armi, in una cantina nella disponibilità di un altro ex militante romano dell’estrema destra, Andrea Rufino, detto Kapozza, nato nel ’62 e legato a doppio filo ai personaggi coinvolti nella rapina di via Newton. Non a caso in via Nomentana, nascosto in mezzo a quel mucchio di armi (un fucile, due bombe a mano e dieci pistole, due con silenziatore) c’era anche il fascicolo delle indagini sulla rapina di via Newton, finita con la morte di un vigilante e di uno dei rapinatori, il fascista Elio Della Scala detto Kapplerino.

È seguendo la pista che collega i personaggi coinvolti nei due fatti – la rapina e la molto più recente scoperta della santabarbara – che i carabinieri del Ros, dopo 24 mesi di indagini, hanno ricostruito nell’informativa inviata di recente al pm di Roma Erminio Amelio, il possibile retroscena dell’omicidio di Verbano, avvenuto il 22 febbraio dell’80. Quando tre incappucciati entrarono a casa del ragazzo in via Monte Bianco, nello stesso quartiere in cui nel ’94 venne poi scoperto l’arsenale.

Soprattutto i carabinieri avrebbero trovato grazie ad alcuni riconoscimenti fotografici (e al ritrovamento di nuovi reperti mai esaminati prima) le prove mancanti nel quadro di indizi sui quali aveva già lavorato tre anni fa, senza che nulla trapelasse alla stampa, l’allora pm della procura di Roma Diana De Martino, la stessa alla quale lo Sco segnalò quella soffiata su Luigi Esposito e Giovanni Marion e che poi decise di chiudere il fascicolo, rimasto formalmente contro ignoti, con una richiesta di archiviazione. L’attenzione della procura e del Ros su Esposito e Marion, all’epoca gregari di una squadraccia di quartiere dedita alle rapine e una serie di traffici illeciti, non si è tuttavia mai abbassata del tutto anche perché la foto segnaletica del secondo risultava somigliante al seppur vago identikit reso dai passanti che videro il commando entrare ed uscire dal palazzo dove abitava Verbano.

Non solo. Marion risultava pure coinvolto nella rapina di via Newton il cui organizzatore, Kapplerino, capeggiava un gruppetto che si rifaceva ai Nar e firmava le azioni con una sigla cosiddetta “mimetica”. A seguito delle intercettazioni ambientali risultò infatti che Marion, fin da giovanissimo, era stato in stretti contatti con Rufino, quello che aveva la disponibilità della santabarbara: i due fondarono insieme l’associazione “Easy London”, attualmente legata a Forza Nuova, e restarono molto amici fino ad almeno il febbraio 2005 quando finirono in carcere insieme per la rapina di via Newton.

Giova ricordare poi che il secondo volantino di rivendicazione dell’omicidio Verbano era firmato Nar e che in quello stesso volantino si accusava Verbano di essere stato il mandante di fatto di una sparatoria avvenuta davanti a un bar di Montesacro frequentato da fascisti dove morì un innocente. Questo è importante perché i carabinieri oggi ritengono che anche un gruppuscolo di fascisti di strada come quelli della rapina in via Newton, magari per vendicare un affronto, avrebbe ben potuto appropriarsi, come peraltro già accaduto in altri casi, della sigla nera capeggiata da Fioravanti, Bracci e Carminati. Peraltro anche Valerio Fioravanti disse agli inquirenti di sapere che ad ammazzare Verbano erano stati dei “ragazzini” e che per questo non voleva rovinarli. Ed è noto che invece l’indagine che puntò ai veri capi dei Nuclei Armati Rivoluzionari si concluse in un nulla di fatto.

L’articolo di Angela Camusso, piuttosto confuso e impreciso, si rifà a precedenti articoli sulla non riapertura delle indagini, come visto in precedenza negli articoli su Aprile Online e Il Tempo del 2007.

Nel fascicolo della Procura da me acquisito con lunga fatica nel febbraio del 2009, riguardante la prima inchiesta non c’è menzione alcuna di una riapertura delle indagini. E non c’è di conseguenza nessuna richiesta di archiviazione da parte del pm Diana De Martino.

Fra l’altro Angela Camuso scrive che Fioravanti disse agli inquirenti «di sapere che ad ammazzare Verbano erano stati dei “ragazzini” e che per questo non voleva rovinarli».

Ma dove e quando lo avrebbe affermato? Non risulta in nessun atto ufficiale.

Non scrive nessuna nota e non rimanda a nessun documento: chi i documenti li ha consultati, sa, attenendosi a questi, che Fioravanti mai e poi mai, fino ad allora, era stato interrogato in merito all’omicidio di Verbano!

Le dichiarazioni di Fioravanti sul caso Verbano erano state sempre rilasciate ai giornalisti; nulla risulta invece nel fascicolo riguardante l’omicidio di Valerio.

L’articolo di Camuso confonde i piani: fra il ritrovamento dell’arsenale e le nuove indagini sull’omicidio di Verbano non c’è alcun collegamento, come ho potuto constatare leggendo le carte otto anni e mezzo dopo la stesura di questo articolo.

Purtroppo l’assoluta superficialità e le inesattezze riportate non hanno fatto altro che alimentare, in quei giorni, false speranze in chi credeva fosse possibile trovare gli assassini di Valerio Verbano.

La redazione online del Corriere della Sera, più sobriamente, scrive:

Il delitto il 22 febbraio 1980

Omicidio Verbano, due indagati

La Procura di Roma riapre l’inchiesta – Trentun anni dopo riaperto il caso sul delitto del 19enne comunista ucciso in casa da un commando vicino ai Nar

ROMA – Due indagati. Trentuno anni dopo. La procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati due uomini sospettati dell’uccisione di Valerio Verbano, il giovane militante 19enne della sinistra extraparlamentare ucciso in casa il 22 febbraio 1980. Gli accertamenti sono coordinati dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti e dal sostituto Erminio Amelio.

IDENTIFICATI – Entrambi gli indagati, secondo quanto si è appreso, sono stati identificati dopo una rilettura del vecchio fascicolo processuale, sarebbero stati riconosciuti, tramite ricognizione delle foto segnaletiche dell’epoca, da alcuni testimoni. I due indagati, uno dei quali residente all’estero, non facevano parte di organizzazioni eversive ma sarebbero legati a soggetti vicini a Terza Posizione ed ai Nar. I due potrebbero presto essere convocati dai magistrati. Il primo uomo sembra viva da tempo all’estero. Ma il secondo invece sarebbe un insospettabile professionista con una vita in Italia.

L’INCHIESTA – L’omicidio, avrebbero accertato i carabinieri del Ros, sarebbe maturato nell’ambito delle vendette tra estremisti di destra e di sinistra che caratterizzarono, soprattutto a Roma, gli anni di piombo. Nelle intenzioni degli inquirenti c’è ora la convocazione in procura dei due indagati. L’inchiesta giudiziaria, racconta il quotidiano La Repubblica, è stata riaperta oltre un anno fa nel quadro delle verifiche avviate su vecchi casi rimasti insoluti attraverso l’utilizzo di tecniche investigative più sofisticate. Come quello di Roberto Ugolini, «altro militante della sinistra extraparlamentare. Anche quel giorno erano in tre e si fecero aprire dalla madre del ragazzo presentandosi come amici del figlio», scrive il quotidiano romano. Ugolini riuscì a fuggire e fu colpito solo alle gambe.

This entry was posted in Archivio. Bookmark the permalink.