Quel maledetto ultimo giorno

Il 22 febbraio 1980 Valerio viene assassinato in casa sua, davanti ai suoi genitori, da tre individui con il viso mascherato.

Cosa accade quel giorno?

Carla Verbano racconta così le ultime ore di vita del figlio:

Verso le ore 12:45 di oggi ho sentito suonare alla porta della mia abitazione, sita all’interno 12 della scala B. Ho aperto senza guardare dallo spioncino perché non avevo alcun motivo di timore, ed è stato così che mi sono trovata innanzi tre individui, tutti con il volto travisato, che descriverò meglio in seguito. Sono rimasta senza parole per lo stupore e i tre, o meglio uno di essi, che calzava il berrettino marrone, mi ha chiesto testualmente: «Dove è Valerio? ». Ho fatto appena in tempo a rispondere che si trovava a scuola quando sono stata afferrata da uno di essi, che mi ha tamponato la bocca con una mano, sospingendomi all’interno dell’abitazione e chiedendomi contestualmente se in casa si trovava solo mio marito. Tutti sono entrati nella camera da letto dove si trovava mio marito, ad eccezione di quello che teneva a bada me. È stato così che ci hanno immobilizzato entrambi, legandoci con del nastro adesivo mani, piedi e tappandoci con lo stesso mezzo la bocca. Prima che mi mettessero il nastro adesivo sulla bocca, li ho pregati di far stendere sul letto mio marito, che nel frattempo era già stato legato e adagiato sul pavimento, facendo loro presente che soffriva di artrosi. Mi hanno accontentata stendendoci entrambi sul letto matrimoniale. Devo precisare a questo punto che tutti i tre sconosciuti erano armati di pistola, una delle quali mi è sembrata inizialmente un bastone o un manganello, perché, come ho avuto modo di appurare, recava un grosso silenziatore avvolto in numerosi giri di nastro adesivo. I tre ci hanno chiesto a che ora rincasasse nostro figlio e ricevuta risposta nella maniera in cui potevamo rispondere, avendo la bocca coperta dal nastro, ci hanno raccomandato di non gridare e di non muoverci altrimenti sarebbe finita male. Ho tentato di farmi dire da loro quale fosse il motivo dell’aggressione ed essi, anzi quello con il berrettino marrone, mi ha detto che dovevano soltanto chiedere dei nomi a mio figlio e che non sarebbe successo niente. Mentre uno rimaneva costantemente a controllarci, quello col passamontagna celeste, gli altri due giravano nella casa e in particolare nell’ingresso, evidentemente nell’attesa dell’arrivo di mio figlio. Egli è sopraggiunto verso le ore 13:40, quando ho sentito che introduceva le chiavi nella toppa della porta d’ingresso senza suonare. A tale avvisaglia, anche il terzo individuo che controllava noi si è avviato verso l’ingresso, e a questo punto ho inteso prima un rumore di colluttazione e subito dopo il rumore di vetri infranti della specchiera dell’attaccapanni che si era rotta. Ho udito quindi mio figlio gridare aiuto e poi un colpo di arma da fuoco molto attutito.

Mentre tentavo di trascinarmi legata verso l’ingresso, sentivo sempre mio figlio invocare aiuto, e quando sono riuscita a raggiungere l’atrio ho visto che la porta era stata lasciata aperta dai tre che si erano allontanati e che i vicini, richiamati dal rumore, stavano entrando in casa. Ho trovato mio figlio disteso sul divano del salotto di traverso, con le gambe fuori, che dava chiari segni di sofferenza. Non ho visto dove era stato ferito, perché abbiamo guardato solo sul davanti e alla testa senza notare lesioni o tracce di sangue. L’autoambulanza chiamata da un vicino è arrivata circa quindici minuti dopo, quando mio figlio incominciava a perdere sangue dalla bocca. Nel frattempo era sopraggiunta la Polizia, che ha tentato di prestare i primi soccorsi1.

Le dichiarazioni di Sardo sulle ultime ore di vita del figlio sono pressoché simili:

Erano le 12:15. Io e mia moglie eravamo appena rientrati a casa.

Lei in cucina faceva da mangiare, io ero in camera da letto. Suonarono.

Mia moglie è andata ad aprire: ha visto dei giovani, non si è insospettita. Socchiusa la porta, l’hanno afferrata, girata perché non li vedesse bene in faccia, spinta dentro: «Zitta, dov’è Valerio?». Le hanno puntato contro una pistola. Sono apparsi all’improvviso nella mia stanza. Ho capito subito quello che stava avvenendo: ho afferrato una sedia, mi sono scagliato addosso al primo.

Non ho avuto il tempo di vibrare il secondo colpo: uno dei fascisti mi ha colpito al ventre, sono stramazzato sul pavimento. Mi hanno puntato la pistola alla nuca: «Se ti muovi ti spariamo…».

Mia moglie ha sussurrato: «Sardo, non sono ladri, cercano Valerio ». Ci hanno legati, imbavagliati, sbattuti sul letto. Sentivamo che il terzo rovistava nell’armadio di Valerio. «Ma che volete da Valerio?». «Due minuti e finisce tutto, se lui ci dice dei nomi…».

Abbiamo passato così tre quarti d’ora interminabili. Guardavamo l’orologio e pensavamo: forse Valerio oggi non viene, forse va con i suoi amici. Era quasi l’una quando abbiamo sentito il rumore della chiave infilata nella serratura. E noi lì, incapaci di avvertirlo del pericolo, di salvarlo, di scongiurare la tragedia…Tutto si è concluso in pochi istanti. Abbiamo sentito la sua voce allegra:

«Ciao , mamma…», poi il silenzio. Li aveva visti, aveva capito che era in trappola. Abbiamo sentito il rumore di una lotta furibonda.

Tremava il muro, uno specchio è caduto ed è finito in frantumi.

Valerio deve avere resistito con tutte le sue forze, mentre noi tentavamo disperatamente di slegarci, di correre ad aiutarlo.

Poi i due colpi, smorzati dal silenziatore. Un grido: «Aiuto, mamma…». E i passi dei tre giù per le scale. Mia moglie si era buttata giù dal letto, strisciando era arrivata nell’ingresso, proprio quando si sono affacciati i vicini. Ci hanno visto legati, sono corsi a liberarci, e noi che facevamo cenno verso la stanza: no, pensate a lui, pensate a Valerio. Mia moglie è corsa in terrazzo a gridare:

«Hanno sparato a Valerio, chiamate la Polizia». Io sono corso da mio figlio, gli ho alzato la camicia, maglione, ma dove gli avevano sparato? Non si vedeva nulla. Forse gli hanno solo dato una botta in testa, pensavo… Sentivo la voce angosciata di mia moglie: «Guarda, sta diventando violaceo, sta cambiando colore…». Poi ha vomitato sangue dalla bocca, allora abbiamo capito che era finita.

Appena la Polizia è arrivata, io sono stato trascinato via al quarto distretto, mia moglie è dovuta rimanere perché si aspettava la scientifica. Mio figlio è morto sull’ambulanza da solo, senza che avesse accanto nessuno di noi2.

Certo una cosa importante che emerge dalle dichiarazioni di Sardo Verbano è che quel giorno lui non si recò al lavoro. Una cosa anomala per Sardo, che infatti ha dichiarato:

Nella giornata odierna non mi sono recato in ufficio, bensì assieme a mia moglie Zappelli Rina sono andato al Policlinico Umberto I per accertamenti medici. Assieme abbiamo fatto rientro a casa verso le ore 12:30. Dopo non molto, verso le ore 12:50 abbiamo udito, anzi mia moglie ha udito suonare il campanello di casa, per cui si è recata ad aprire3.

Gli assassini di Valerio lo sapevano? Hanno agito all’insaputa di questa informazione o hanno agito lo stesso pur sapendo che entrambi i genitori erano in casa? E se così fosse, forse avevano pedinato preventivamente l’intera famiglia Verbano?

Immediatamente accorrono dunque i vicini di casa della famiglia Verbano, che poi testimonieranno alla Polizia quanto hanno visto e sentito in quelle ore.

Verso le ore 13:30 mi trovavo nella mia abitazione intento a desinare, quando ho sentito un forte rumore, pensando che qualcuno avesse fatto cadere dei listelli che avevo posto all’angolo del pianerottolo adiacente all’abitazione del dott. Federico Pinci, sita all’int.14, sono uscito e m’avvidi che l’abitazione accanto alla mia aveva la porta aperta e dall’interno provenivano dei lamenti soffocati.

Mi affacciai all’interno di essa e vidi la signora Verbano legata e imbavagliata che si trascinava seduta sul pavimento. Ho liberato la signora dai legamenti in nastro adesivo di colore marrone, e nel contempo la stessa mi indicava il figlio che giaceva su di un divano. Contemporaneamente entravano nell’appartamento altri inquilini tra i quali il mio collega Mirino Giuseppe. Unitamente al

Mirino abbiamo adagiato in modo migliore il Verbano Valerio, che prima stava con le gambe penzoloni dal divano stesso. Subito dopo incominciavano ad arrivare i primi soccorsi. Non ho sentito alcuna detonazione, e tantomeno uscire delle persone dall’abitazione del Verbano. Oltre ciò non ho sentito alcun trambusto per le scale4.

Fra loro accorre subito anche Fabrizio P., amico e vicino di casa di Verbano, che descrive così quei momenti:

Ricordo il giorno che io tornavo da scuola e che gli spararono, io ero entrato dentro casa, e lui era sul divano, e urlai contro i barellisti, perché stavano aspettando l’ascensore con la barella sotto al portone… Ricordo proprio questo momento, e lui sul divano, che aveva… questo sangue all’orecchio… lo ricordo come se fosse questo momento… sul divano, sdraiato, era bianco, veramente, assolutamente, non rispondeva… e poi che lo portarono via5.

Altre dichiarazioni dei vicini di casa convergono con quella di C. Gennaro. Tuttavia ce n’è una più accurata, che apre la porta a mille domande. È la dichiarazione di Gino De Angelis:

Verso le 13:40 circa, mentre stavo rientrando a casa, giunto in prossimità del portone d’ingresso dello stabile, notavo tre individui sui venti anni circa che stavano uscendo con passo piuttosto svelto. Uno dei tre e precisamente il più alto, che era quello che ho incrociato per primo, era alto circa 1,70-1,75, indossava un giaccone di colore chiaro, aveva capelli di colore castano chiaro, non molto lunghi e non portava né baffi né barba. Gli altri due invece erano più bassi del primo di circa dieci centimetri e non portavano indumenti chiari. Preciso che il primo giovane era longilineo, mentre gli altri due rispetto al primo erano un po’ più paffuti, ma non grassi. Alcuni giorni addietro, non ricordo con esattezza quando, tre le ore 13 e le 14, notai quattro giovani, tra cui il Verbano Valerio, in Via Monte Bianco, nei pressi del circolo Enal, che parlavano fra loro, mi sembra che i tre giovani incontrati oggi siano gli stessi. Probabilmente sarei in grado di riconoscere il primo dei tre giovani attraverso delle fotografie6.

La DIGOS mostrò successivamente delle foto segnaletiche a Gino De Angelis, fra cui quelle di Nazareno De Angelis e Silvio Leoni, e altre di cui non è dato sapere, ma egli dichiarò di non aver riconosciuto nessun autore del fatto criminoso7.

I ragazzi di cui parla Gino De Angelis erano gli stessi che aveva visto parlare con Valerio due giorni prima?

Fra i tanti vicini che accorrono in casa Verbano ce n’è uno particolarmente famoso alle cronache politiche e giudiziarie degli anni Sessanta e Settanta, che abbiamo già incontrato nel momento della morte di Paolo Rossi: è Mario Merlino, estremista di destra, che attraversa da protagonista tutti gli anni delle stragi fasciste e di Stato. Nel libro di Nicola Rao, Il piombo e la celtica, Merlino ha raccontato la sua presenza sul luogo del delitto. È l’unica testimonianza relativa alla sua presenza sul luogo del delitto, da lui stesso rilasciata. In questa intervista Merlino afferma che si era trasferito nel palazzo da poco tempo, al piano di sotto della famiglia Verbano e che conosceva Carla, in quanto, essendo lei una ex-infermiera, si era prestata qualche volta a fare delle iniezioni al figlio piccolo dello stesso Merlino. Il giorno dell’omicidio il noto terrorista fascista narra di essere stato avvisato da una vicina di casa di quello che era successo, e di essere subito corso nell’appartamento dei Verbano. Stando alla sua testimonianza, lui stesso, per primo, ha slegato Carla e poi Sardo8.

Quest’ultima dichiarazione contrasta nettamente con quelle fatte dagli altri vicini di casa, i quali affermano, nelle dichiarazioni rese alla DIGOS e sopra menzionate, di essere stati loro a slegare i coniugi Verbano.

Carla Verbano, d’altro canto, conferma che Merlino effettivamente fu tra le persone che accorse per aiutare lei e Sardo, ma a distanza di tanti anni non ricorda se fu esattamente lui a liberarli o meno. Carla, comunque, conferma che conosceva Merlino e che in qualche occasione si era recata nell’abitazione di lui e della moglie per fare delle iniezioni al loro figlio piccolo.

Fin qui tutto sembra rientrare nella casualità degli avvenimenti, ma occorre sottolineare un dato inquietante: Merlino non fu interrogato né dalla Polizia del quarto distretto né dalla DIGOS, e successivamente neanche dal giudice D’Angelo. O, se lo fu, agli atti delle indagini non risulta nulla, niente, zero. Ma com’è possibile che uno dei personaggi più oscuri del neofascismo italiano, accorso per aiutare la famiglia Verbano, non sia stato interrogato dalla Polizia né nell’immediato, né nei giorni successivi e nemmeno nei nove anni dell’istruttoria? Valerio aveva svolto approfondite ricerche sulla destra eversiva, e Merlino, con le sue ampie conoscenze dell’ambiente nazifascista romano, avrebbe potuto, se avesse voluto, aiutare gli inquirenti. Perché un testimone importante come lui non è stato mai interrogato?

È lecito inoltre chiedersi: Merlino era a conoscenza del lavoro di controinformazione svolto da Valerio? Non è un’ipotesi del tutto campata in aria, dal momento che i giornali avevano già ampiamente riportato la notizia del materiale sequestrato a Valerio a seguito dell’arresto.

Come detto, però, nelle carte dell’istruttoria non c’è traccia del passaggio di Mario Merlino. Questo è un esempio negativo di come gli inquirenti condurranno le indagini da quel 22 febbraio fino all’aprile del 1989, quando verrà archiviata l’istruttoria senza che siano trovati i colpevoli dell’omicidio di Valerio.

Ma quell’ultimo giorno nulla lasciava presagire quanto sarebbe accaduto. Lina ricorda che era un giorno come gli altri, e nonostante i segnali dei giorni precedenti, Valerio era andato a scuola e dopo una passeggiata con gli amici si era diretto a casa:

Quel giorno non siamo andati a scuola, siamo andati ai Pini. Mi ricordo che c’era una bella giornata di sole. Me lo ricordo. Anche se faceva freddo. E ci siamo messi sul prato… io, Massimo, altra gente… e siamo stati là. Abbiamo fatto sega a scuola… Siamo stati là, a chiacchierare, insomma a stare così. Poi Massimo veniva a pranzo a casa mia, ci siamo salutati e siamo venuti a casa. Mia madre quel giorno preparava i ravioli. Ancora me lo ricordo. Arrivò Valerio sotto casa, gli suonò con la Vespa alla finestra, avevo la finestra proprio sulla strada. Arrivò e chiamò: «Massimo!».

Massimo si affacciò. Si dissero qualcosa, io non mi ricordo perché stavo di là in cucina… Mia madre s’affaccia e gli dice: «Vieni su a mangiare i ravioli su da me?». E Valerio, mi ricordo, mi disse: «No, devo andare a casa, m’aspetta mamma». Salutato Valerio.

Valerio è andato a casa. Magari rimaneva a pranzo da me, insomma, voglio dire, non lo so per Carla e per Sardo, ma prima o poi se ne sarebbero dovuti andare. Però me lo ricordo bene, quel giorno non me lo scorderò mai. Anche perché, subito dopo, mi ricordo che arrivò un altro amico che chiamava Massimo… ma era proprio appena successo… cioè era proprio… Radio Onda Rossa aveva già dato la notizia… «Massimo! Massimo!». Ancora me la ricordo proprio emozionale ’sta cosa… scusami… «Corri! Corri! Dice che hanno sparato a Valerio!»… Ancora c’ho i sudori, guarda, me sento male… Massimo scappò via da casa mia e io mi ricordo che rimasi… basita, perché dico: che vor dì? Che significa?

Cioè, sparato a Valerio che vuol dire? E mi ricordo che uscii subito col motorino e mia madre non mi voleva fa’ uscì perché… cioè, gli era preso un colpo. Io mi ricordo che telefonai a mio padre, io

je dico: «Dì a tua moglie che mi deve lascia’ perdere, cioè nel senso…Io devo andare». E infatti so’ andata via, so’ andata col motorino sotto casa. So’ arrivata sotto casa, c’era l’ambulanza che portava via Valerio. Però non sapevo che era Valerio. Cioè, nel senso, io ho visto solo un’ambulanza andare via, e c’era Valerio dentro. Dopo me l’hanno detto, perché dopo abbiamo parlato con Carla e abbiamo ricostruito il tutto. E, poi vabbe’, dopo la manifestazione e tutto quello che c’è stato9.

La ricostruzione della dinamica del delitto, agli atti, è affidata alle sole testimonianze di Carla e Sardo Verbano, che raccontano agli inquirenti giunti sul posto di essere stati immobilizzati e trattenuti nella loro camera da letto e di aver poi sentito, una volta rientrato Valerio a casa, rumori di colluttazione e un colpo esploso di pistola.

Alle 14:15, mentre il personale medico del Policlinico Umberto I accerta la morte di Valerio avvenuta in ambulanza, sul luogo del delitto arriva il personale della Polizia scientifica per i rilievi.

Dal verbale di sopralluogo che viene stilato si legge che l’ingresso dell’abitazione dei Verbano è in disordine. I segni più visibili della colluttazione udita dai coniugi Verbano, avvenuta proprio nell’ingresso, sono rappresentati da uno specchio rotto e un attaccapanni capovolto, dietro il quale viene rinvenuto un rotolo di nastro adesivo integro, dello stesso tipo di quello usato per imbavagliare e legare i coniugi Verbano.

Nella parete di destra dell’ingresso, a poco meno di un metro d’altezza, viene rilevato un foro cieco di proiettile, che sarà poi estratto il giorno seguente dalla scientifica e risulterà essere un calibro 7,65. Sul pavimento, proprio sotto il foro di proiettile, viene repertato anche un bossolo, sul cui fondello è impressa la scritta 32 AUTO WW, che da perizia balistica risulterà appartenere alla stessa cartuccia del proiettile conficcato nel muro.

Su un mobile, sempre nell’ingresso, viene rinvenuta una borsa a tracolla color ghiaccio, aperta, contenente occhiali da sole, un teleobiettivo, un passamontagna scuro, un berretto di lana e una tuta blu con scarpette da ginnastica. La borsa in oggetto appartiene a Carla Verbano, ma non il suo contenuto: il passamontagna non è di nessun membro della famiglia, mentre gli occhiali da sole e il teleobiettivo sono oggetti che i killer hanno trafugato dalla camera di Valerio. È presumibile, infatti, che i killer abbiano riempito la borsa con l’intenzione di portare via qualcosa, ma che l’abbiano poi dimenticata quando si sono dati alla fuga.

Nell’attigua sala da pranzo, la scientifica rileva tracce di sangue sul divano e su un asciugamano posto sopra il divano. Sotto il divano viene rinvenuto un berretto di lana. Poco distante, la borsa a tracolla di cuoio di Valerio e, vicino, un guinzaglio a maglie piccole.

A circa due metri dal divano, a terra, giace una pistola con silenziatore, marca Beretta calibro 7,65, con numeri di matricola abrasi.

Il silenziatore ad essa attaccato è artigianale ed è macchiato di sangue. Accanto alla pistola c’è una rudimentale custodia per silenziatore animata con stracci e rivestita con nastro adesivo analogo a quello usato per immobilizzare i Verbano. C’è anche un passamontagna celeste abbandonato vicino alla pistola.

Proseguendo con la descrizione fornita nel verbale, in camera da letto dei coniugi Verbano viene trovato del nastro adesivo spiegazzato, diviso in più segmenti abbastanza lunghi. Uno di questi segmenti ha un fazzoletto bianco attaccato a un’estremità.

Si tratta evidentemente del nastro per legare i Verbano e del fazzoletto usato per imbavagliarli.

Nella stanza di Valerio, stando sempre al verbale di sopralluogo della scientifica, c’è un armadio con le ante aperte e una gruccia a terra. Su un tavolino è appoggiata una macchina fotografica marca Zenit, priva di obiettivo, e altro materiale fotografico, come obiettivi, copri obiettivi, custodie per macchine fotografiche e per teleobiettivi.

Gli oggetti sopra menzionati, su ordine del funzionario della DIGOS e vicequestore Andreassi, presente anche lui sul luogo del delitto, vengono repertati in loco dal personale della scientifica, per essere poi da quest’ultima analizzati.

Ora, delle analisi scientifiche fatte su questi oggetti repertati, nelle carte processuali, sono riportate la perizia balistica sulla pistola Beretta e i proiettili e l’esame della macchina fotografica che si trovava nella stanza di Valerio, della quale fu sviluppato, con scarsi risultati come vedremo, il rullino.

Per quanto riguarda il restante materiale, come il passamontagna, il guinzaglio, il rotolo di nastro adesivo e il berretto rinvenuto nella borsa di Carla, tutti oggetti verosimilmente appartenuti ai killer, non ci sono relazioni peritali. Non è dato sapere, dunque, se in questi siano state rinvenute tracce di sangue, o capelli, o altro utile a risalire all’identità degli assassini.

Il verbale di sopralluogo accenna appena alle indagini svolte su questi oggetti:

Si dà atto che in sede di sopralluogo, per ordine del funzionario della DIGOS dottor Andreassi, sono stati repertati i sottoelencati oggetti che dopo accurato esame presso i locali del gabinetto regionale di Polizia scientifica vengono restituiti al prefato Ufficio10.

Dunque questi oggetti, dopo «accurato esame» vengono restituiti alla DIGOS.

Ma, come detto, di questi accurati esami non c’è traccia nelle carte dell’istruttoria, nemmeno una relazione che dica cosa è stato analizzato e come.

Nello stesso verbale di sopralluogo viene sbrigativamente riportato l’esito negativo della ricerca delle impronte dei killer sul luogo del delitto:

Allo scopo di mettere in evidenza eventuali impronte di linee papillari latenti, abbiamo cosparso con polvere di alluminio tutti i mobili e gli oggetti con superficie levigata, presumibilmente toccati dagli ignoti, ma tale operazione ha dato esito negativo11.

Carla Verbano dichiara sin da subito che uno dei killer, quello che indossava il passamontagna celeste, non aveva un guanto, e ne descrive persino le unghie12. I tre hanno frugato nella camera di Valerio, toccato i mobili nella stanza di Carla e Sardo, senza contare che c’è stata anche una colluttazione, nella quale sono stati perduti oggetti, come il rotolo integro di nastro adesivo, che molto probabilmente qualcuno di loro ha toccato senza guanti, se non altro nel momento dell’acquisto. È quindi poco soddisfacente leggere, in merito alla ricerca di impronte, solo due righe in un verbale di sopralluogo, ed è ancora più sconfortante, proprio alla luce della dinamica dell’omicidio, non trovare alcun accenno della ricerca di tracce ematiche appartenente agli assassini.

Anche se nelle carte manca una ricostruzione della dinamica del delitto fatta dagli inquirenti attraverso le risultanze scientifiche, possiamo ipotizzare a grandi linee, basandoci sulle testimonianze di Carla e Sardo, sul verbale di sopralluogo e su quelli della perizia balistica e dell’autopsia, che Valerio entrò in casa, trovò i suoi assassini nell’ingresso ad aspettarlo e reagì picchiandosi con loro. Si difese con tutte le sue forze, come testimoniano le numerose ecchimosi sul suo corpo e il disordine in casa. Riuscì probabilmente a togliere il passamontagna celeste a uno dei suoi aggressori, poi uno dei tre, e precisamente quello che aveva la pistola con il silenziatore artigianale, sparò un colpo, che si andò a conficcare nel muro, e poi un altro colpo che rimase inceppato dentro la camera di scoppio. Valerio riuscì probabilmente a disarmarlo, perché la pistola con silenziatore che sparò contro il muro è, stando alla perizia balistica, la stessa Beretta 7,65 rinvenuta a terra dagli inquirenti nell’abitazione.

Forse i colpi partirono da questa pistola durante la colluttazione, nella quale il silenziatore, peraltro, si macchiò di sangue. Ad ogni modo, Valerio cercò di scappare in sala da pranzo, presumibilmente per uscire in terrazza e da lì calarsi giù in strada, ma uno dei killer, armato di una calibro 38, lo fermò sparandogli un colpo alle spalle. Fu probabilmente questo il colpo, l’unico, che udirono Carla e Sardo Verbano, legati in camera da letto, dato che la Beretta aveva il silenziatore. In base all’esame autoptico, la traiettoria del proiettile risulta essere dal basso verso l’alto, con una leggera obliquità da destra verso sinistra, il che fa pensare che il killer si trovasse a terra in quel momento, e a una distanza abbastanza ravvicinata, di quaranta o cinquanta centimetri. Subito dopo il colpo Valerio cadde sul divano, colpito all’altezza della seconda vertebra lombare, mentre i killer si dileguarono velocemente dall’appartamento, lasciando la pistola con il silenziatore, la custodia del silenziatore, un guinzaglio, un passamontagna, un rotolo di nastro adesivo e altro materiale nella borsa color ghiaccio di Carla.

La ferita di Valerio è mortale, il proiettile ha lesionato l’aorta addominale e provocato una emorragia interna, e inutili sono i soccorsi.

Alla luce di questo quadro, ricercare tracce ematiche non appartenenti a Valerio, anche piccole, magari a terra o sullo specchio andato in frantumi, o nei passamontagna rinvenuti, o anche sotto le unghie di Valerio, dal momento che aveva colpito i suoi aggressori, sarebbe stato quantomeno sensato. Lo stesso si può dire in merito a una ricerca più accurata di impronte digitali, da farsi anche sugli oggetti come, appunto, il nastro adesivo o la pistola stessa, esami di cui nelle carte non c’è traccia.

Il giudice D’Angelo dà mandato al medico legale di eseguire l’autopsia sul corpo di Valerio, e chiede a questi di stabilire l’epoca, la causa e i mezzi che l’avevano prodotta. Dal momento che si trattava di ferita d’arma da fuoco, il giudice chiede anche di accertare il numero dei colpi, la loro traiettoria e distanza dalla vittima. Il medico risponde alle domande, specificando che, per stabilire l’effettiva distanza, sarebbe stato necessario confrontare i risultati della perizia balistica.

Tale distanza può essere indicata, molto approssimativamente, nella misura di 40-50 centimetri; una maggiore precisione si potrebbe avere avendo a disposizione l’arma usata e verificandone gli effetti secondari dell’esplosione, essendo questi ultimi molto variabili13.

Tuttavia questo confronto non verrà mai fatto, così come non sarà utilizzata in nessun modo l’informazione, espressamente richiesta dal giudice, circa il gruppo sanguigno di Valerio.

Al medico incaricato di svolgere l’autopsia, infatti, il giudice D’Angelo chiede di riferire il gruppo sanguigno di Valerio Verbano, che risulta essere B-RH positivo. Questo, presumibilmente, per compararlo con quello trovato in casa, e in particolare sul divano, sull’asciugamano e sul silenziatore, dove era possibile individuarlo anche a occhio nudo. Invece l’informazione sul gruppo sanguigno rimane fine a se stessa. Non risulta dalle carte che il sangue sul divano e sull’asciugamano sia stato analizzato, e nemmeno quello sul silenziatore che, più probabilmente, sarebbe potuto appartenere a uno dei killer. Al pari, nulla fu fatto per individuare eventuali tracce ematiche non immediatamente visibili ad occhio nudo sul luogo del delitto. A cosa è servito stabilire il gruppo sanguigno di Valerio, se poi non sono state effettuate le dovute comparazioni con le altre tracce ematiche presenti sul luogo del delitto?

Ai periti della balistica, invece, il magistrato chiede di stabilire quali dei due proiettili repertati, uno conficcato nel muro d’ingresso e l’altro estratto dal corpo di Valerio, siano stati esplosi con la Beretta 7,65 rinvenuta sul luogo del delitto; chiede poi di precisare le cause che non hanno consentito l’espulsione del proiettile rinvenuto nella camera di scoppio della stessa pistola e, infine, di ricostruire il numero di matricola abrasa dell’arma.

In base ai risultati della perizia, la pistola Beretta 7,65, con matricola abrasa, munita di silenziatore artigianale, è la stessa che ha sparato il proiettile conficcato sul muro, cui appartiene anche il bossolo rinvenuto sul pavimento, proprio sotto il foro.

Il proiettile che ha ucciso Valerio, invece, proviene da una calibro 38 e presenta delle caratteristiche riconducibili a revolver calibro 38 marca Smith & Wesson, Sturm-Ruger o Taurus.

Per quanto riguarda la cartuccia inesplosa, rimasta dentro la camera di scoppio, il motivo della mancata esplosione è da attribuirsi alla presenza del silenziatore artigianale, e più precisamente alla imperfetta coassialità tra questo e la canna della pistola, cosa che ha provocato l’urto del proiettile contro i diaframmi interni del silenziatore. Infine, i periti ricostruiscono il numero di matricola con un buon margine di probabilità, e questo permetterà in effetti di risalire, come vedremo, al proprietario dell’arma il quale, come spiegherò meglio inseguito, si scoprirà essere l’agente di Polizia Raffani.

  1. 1. Archivio del giudice istruttore, Tribunale di Roma, fasc. 589/80A, IV Distretto di Polizia, Verbale d’interrogatorio a Zappelli Rina, 22 febbraio 1980, ore 16.
  2. 2. Baraldi, Il padre di Valerio: «Non so perdonare, ma fermiamo la strage», «Paese Sera», 18 aprile 1980.
  3. 3. Ibidem.
  4. 4. Archivio del giudice istruttore, Tribunale di Roma, fasc. 589/80A, IV distretto di Polizia. Verbale d’interrogatorio a C. Gennaro,

22 febbraio 1980, ore 16:30.

  1. 5. Intervista a Fabrizio P., Roma, 25 novembre 2008.
  2. 6. Archivio del giudice istruttore, Tribunale di Roma, fasc. 589/80A, IV distretto di Polizia. Verbale d’interrogatorio a De Angelis

Gino, presso la sua abitazione, 22 febbraio 1980, ore 14:35.

  1. 7. Archivio del giudice istruttore, Tribunale di Roma, fasc. 589/80A, questura di Roma, DIGOS, 27 febbraio 1980
  2. 8. N. Rao, Il piombo e la celtica, op. cit., pp. 275-276.
  3. 9. Intervista a Lina, Roma, 10 gennaio 2009.
  4. 10. Archivio del giudice istruttore, Tribunale di Roma, fasc. 589/80A, questura di Roma, gabinetto di Polizia scientifica, 22 febbraio 1980.
  5. 11. Ibidem.
  6. 12. Archivio del giudice istruttore, Tribunale di Roma, fasc. 589/80A, IV distretto di Polizia, verbale d’interrogatorio a Carla Verbano, 22 febbraio 1980, ore 16:12.
  7. 13. Archivio del giudice istruttore, Tribunale di Roma, fasc. 589/80A, relazione medico-legale in ordine alla morte di Verbano Valerio, 23 febbraio 1980.

Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta, di Marco Capoccetti Boccia, Lorusso Editore

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